Profughi. Gran passo europeo verso un nuovo approccio
Le grandi crisi a volte suscitano risposte innovative, accelerando il corso della storia. La decisione della Ue di attuare per la prima volta la direttiva 55 del 2001, per accogliere sia pure «temporaneamente» i profughi ucraini, ha questo tenore di svolta epocale e inattesa. La procedura non era stata avviata neppure nel 2015, di fronte al cospicuo afflusso di rifugiati dalla Siria e dall’Iraq, quando nella Ue vennero presentate in un anno 1.321.000, domande di asilo, seguite da altre 1.259.000 nel 2016, in entrambi i casi in larga prevalenza rivolte alla Germania. Le novità sono sostanzialmente tre. In primo luogo, i rifugiati ucraini, che già potevano entrare nella Ue senza obbligo di visto per soggiorni turistici di durata inferiore ai tre mesi, potranno estendere la loro permanenza a un anno, prolungabile di altri due, senza obbligo di presentare un’istanza di asilo. Vengono in sostanza esonerati dalle lunghe e complesse procedure che ordinariamente filtrano le richieste di protezione internazionale. Diventano residenti regolari subito.
In secondo luogo, potranno circolare all’interno della Ue e decidere liberamente dove stabilirsi. Si saltano con un balzo in avanti sia le convenzioni di Dublino, sia il progetto di redistribuzione delle persone da accogliere secondo quote nazionali, che tanto avevano fatto discutere dal 2015 in avanti, fino a essere ingloriosamente abbandonato su pressione del gruppo di Visegrad, ma non solo. La libertà di scelta è una decisione ragionevole, perché parecchi rifugiati hanno parenti e conoscenti in un determinato Paese, e lì giustamente pensano di poter trovare guida e sostegno. Non aveva molto senso l’idea non tanto di obbligare degli Stati ad accogliere, ma di obbligare i rifugiati a insediarsi in un Paese in cui non avevano buone ragioni per rimanere.
L’Italia, è bene dirlo subito, sarà in prima fila, giacché ospita la più consistente popolazione ucraina dell’Europa Occidentale (236.000 residenti regolari, oltre a 18.000 persone che hanno presentato domanda di regolarizzazione nel 2020). Il terzo elemento innovativo è l’accesso immediato al mercato del lavoro e ai servizi sociali: scuola per i minori, formazione professionale per chi intende imparare un mestiere, sanità per tutti. Eliminati i tempi di attesa e, speriamo, i vincoli burocratici che hanno pesato sui percorsi d’integrazione dei precedenti flussi di richiedenti asilo. In questa ventata di novità, alcuni seri problemi tuttavia rimangono aperti. Il primo, già segnalato da Giovanni Maria Del Re nella sua corrispondenza da Bruxelles, colpisce chi fugge dall’Ucraina ma dispone della cittadinanza di un Paese terzo. In questi casi, gli Stati riceventi non saranno tenuti ad applicare la direttiva 55, ma potranno scegliere se trattarli allo stesso modo dei cittadini ucraini, oppure sottoporli alle normali procedure per la richiesta di asilo: ossia riconsegnarli al circuito burocratico, spesso incomprensibile e dagli esiti incerti, che abbiamo visto in opera in questi anni. Il secondo problema, ancora più grave, si riferisce ai profughi altre guerre. Già ora la Polonia, mentre accoglie a braccia aperte gli ucraini, un po’ più a Nord respinge i profughi dal Kurdistan iracheno, non propriamente un’oasi di pace, spogliati dei loro tratti di esseri umani da proteggere e ridefiniti come «arma ibrida» nelle mani del presidente bielorusso Lukashenko.
Per non dire dei siriani respinti al confine greco-turco, o degli africani ricondotti con la forza in Libia. Rischiamo di disegnare una nuova linea di sperequazione, tra guerra e guerra, tra provenienza e provenienza, tra rifugiati e rifugiati. Avere la pelle bianca, venire dall’Europa, essere battezzati, fuggire da una guerra vicina, non possono diventare criteri preferenziali per l’accoglienza umanitaria.
Il coraggio solidale che la Ue ha mostrato in quest’occasione, lo spirito di accoglienza che oggi pervade le opinioni pubbliche di tutta Europa, la determinazione che stanno mostrando i governi su una materia finora così ostica e divisiva, hanno bisogno di tradursi in una volontà politica coerente e animata da princìpi di giustizia. Va salutata con grande favore la novità arrivata da Bruxelles, ma altre se ne attendono ancora.