Il direttore risponde. Profughi e migranti: sofismi, pregiudizi e il dovere di sgombrare lo sguardo
Caro direttore,
rivolgo anche a lei, in maniera esplicita, una domanda posta a molti, ma alla quale nessuno ha mai risposto: esule o profugo è quella persona che per sfuggire a persecuzioni e/o a situazioni di pericolo per eventi bellici, lascia il suo Paese. Ritengo che tale scelta sia giusta anzi, in talune circostanze, anche doverosa. Una volta che i profughi lasciano il loro Paese, lasciano anche i motivi per i quali sono partiti: al di qua del confine, nessuno li perseguita più ed il teatro di guerra non gli corre certo dietro; pertanto, fermo restando che sono profughi, non ci sono motivi di effettuare ulteriori spostamenti, che renderebbero più complicato anche il rientro in patria, quando nella stessa, la situazione si fosse normalizzata. Ricordo che questa mia impostazione della problematica, è condivisa dalla quasi totalità dei profughi, che nel mondo sono circa 70 milioni persone. C’è invece circa un 2% di profughi che evidentemente ha buone possibilità economiche, che ritiene che l’esser profugo gli dia il diritto di andare a tutti i costi (anche a costo della morte propria e dei propri figli) dove per lui è più vantaggioso. In questo pensiero (qui sta la domanda), non trova un egoistico sfruttamento a proprio vantaggio della situazione di partenza, e dato che la prosecuzione del viaggio, non è dovuta a situazioni di pericolo (anzi ne può trovare di altro tipo) che sia evidente che la motivazione non sia altro che quella economica, e che pertanto non ha senso e non è giusto che chi sceglie questa opzione, abbia dei privilegi rispetto ai normali migranti economici? Ricordando come il silenzio sia la più esaustiva delle risposte, distintamente la saluto.
Romolo Rubini