Profezia è storia /1. Per imparare a risorgere
Un antico maestro della Mishnà, Ben Bag Bag, diceva: «Volgila e rivolgila, tutto vi è nella Torà [Legge]». Tutto è nella Torà, ma bisogna voltarla e rivoltarla: Dio ha parlato, ma l’uomo deve metterci il commento
Paolo De Benedetti, Introduzione al giudaismo
Mosè, dopo che la sua gente costruì e adorò il vitello d’oro alle pendici dell’Oreb, entrò in una crisi profonda. Dentro quel grande fallimento sentì il bisogno di rinforzare la sua fede, e chiese al suo Dio-YHWH: «Fammi vedere la tua gloria» (Esodo 33,18). Ogni tanto, dopo le ribellioni, i tradimenti e le infedeltà degli altri e nostre, rinasce in noi forte la stessa domanda di Mosè. Avvertiamo il bisogno di rivedere la "gloria" che abbiamo visto il primo giorno, per continuare a credere e a vivere. E, qualche volta, la nostra preghiera viene raccolta. La lettura della Bibbia è una possibilità concreta e meravigliosa per tornare a rivedere la "gloria" durante e dopo le crisi individuali o collettive, quando il ricordo di quella che abbiamo visto ieri non ci basta più, e dentro ci affiora e sorprende invincibile quella tremenda e bellissima domanda: fammi vedere la tua gloria. La Bibbia è anche questo: una teofania che è lì per noi ogni giorno, e attende solo che la chiamiamo.
L’inizio dei "Libri dei Re" contiene anche la conclusione della vita del re Davide, iniziata con i libri di Samuele. E quindi continua anche lo spettacolo di inganni, imbrogli, omicidi, fratricidi, violenze, e con esso la radicale tendenza dell’ebreo antico a non aver paura dell’ambivalenza della propria storia né della storia umana; un’ambivalenza e una ambiguità che caratterizzano anche la storia sacra, che è una narrazione dell’azione di Dio intrecciata con la storia di uomini e quindi anche dei loro peccati.
I Libri dei Re furono scritti, o quantomeno terminati, nei primi anni dell’esilio babilonese, quindi dopo la tragedia epocale del 587 a.C. – la conquista di Gerusalemme da parte di Nabucodonosor e la distruzione del tempio di YHWH. I suoi destinatari erano dunque gli esiliati in Babilonia, ma anche i superstiti rimasti a Gerusalemme e una significativa comunità emigrata in Egitto. Condizioni diverse tra di loro, ma tutte attraversate e segnate da alcune nuove, grandi e urgenti domande del popolo di Israele del tempo (e nostre): ha ancora senso continuare a credere in un Dio-YHWH che è stato sconfitto? Può un Dio sconfitto restare un Dio vero? L’Alleanza e la promessa erano solo illusione e inganno? Abbiamo ancora, come popolo, una missione universale da svolgere o il nostro tempo è passato? Quale religione e quale culto con il tempio di Salomone distrutto? E se gli unici dèi veri fossero quelli più semplici degli altri popoli? Che cosa hanno ancora da dirci le storie dei patriarchi, Mosè, il Sinai, il mare aperto? Sono solo ricordo del passato o anche caparra di futuro?
La storia dei Libri dei Re cerca di rispondere a queste domande (e ad altre ancora). Sono dunque libri di teologia narrativa e storica, con una grande importanza attribuita alla profezia – non a caso in questi libri troveremo molti capitoli dedicati a due profeti fondamentali per tutta la Bibbia: Elia ed Eliseo. Sono storia e teologia profetica, sono storia e profezia, perché nella Bibbia la storia è profezia. La storia umana è il luogo nel quale Dio comunica i suoi messaggi attraverso le parole e i gesti dei profeti. Se vuoi conoscere Dio impara a leggere la storia umana: è questo, forse, il primo e principale messaggio della Bibbia, che diventa anche mappa e dizionario per orientarsi in questa lettura non facile – ogni studio dei testi biblici è anche e soprattutto esercizio di ermeneutica di storia contemporanea. Quel popolo ebraico, distrutto, ferito a morte, che stava conoscendo la fame e i lavori forzati, percorso da conflitti religiosi e politici, per ritrovare il senso del passato e immaginare un futuro possibile e quindi ancora raccordato a un passato non-vano, che cosa fa? Inizia a scrivere una storia. Nella sua più profonda depressione collettiva, quel popolo diverso si mise a raccontare il passato per far risorgere il presente. E questo è un messaggio splendido per noi eredi di quegli antichi scrittori biblici, e che oggi viviamo tempi analoghi. Quando dopo le prove più grandi vogliamo e dobbiamo ricominciare, ma ci sentiamo feriti, scoraggiati, un piccolo gregge disperso e impaurito, possiamo sempre riuscirci provando a raccontare una storia. Nel nostro smarrimento e nella nostra depressione collettiva, possiamo smettere di piangere e provare a risorgere attingendo al nostro ultimo capitale residuo: il capitale narrativo, eredità e dono. Possiamo rintracciare un filo d’oro e nel buio tracciare ricami di luce. E poi, come nella tecnica giapponese del Kintsugi, usare l’oro di quel filo ritrovato per ricomporre i vari pezzi del vaso andato in frantumi, dove le cicatrici diventano la parte più nobile della nuova creazione. Non capiamo la Bibbia, né tante storie di comunità, senza prendere molto sul serio la narrazione del passato come ri-creazione del futuro.
Con questo sguardo che è anche una preghiera iniziamo allora la nostra lettura: «Il re Davide era vecchio e avanzato negli anni e, sebbene lo coprissero, non riusciva a riscaldarsi. I suoi servi gli suggerirono: "Si cerchi per il re, nostro signore, una giovane vergine, che assista il re e lo curi e dorma sul suo seno; così il re, nostro signore, si riscalderà". Si cercò in tutto il territorio d’Israele una giovane bella e si trovò Abisàg, la Sunammita, e la condussero al re. La giovane era straordinariamente bella» (1 Re 1,1-4).
All’inizio dei Libri dei Re ritroviamo Davide vecchio, allettato e incapace di "scaldarsi". Il vigore sessuale dei re era nel mondo antico un elemento molto importante. Un re impotente era segnale e messaggio dell’impotenza del suo regno. Riattivare quella virilità spenta era dunque una questione politica, non medica. E una nuova donna, giovane e «straordinariamente bella» da inserire nell’harem di corte, parve ai funzionari la soluzione migliore – che però non funzionò: il re non ebbe rapporti nemmeno con la bellissima Abisàg: «Ella curava il re e lo serviva, ma il re non si unì a lei» (1,4). Insieme a Davide ritorna il femminile, che è stato una costante, nel bene e nel male, della vita di Davide – per la bellezza di una donna, Betsabea, Davide aveva commesso il suo peccato più grande; ma forse nella Bibbia nessun uomo ha saputo come Davide capire, dialogare e ascoltare le donne.
Una prima lettura di questo noto episodio ci porta a empatizzare con questo vecchio re che giunto alla fine della sua vita cerca di rispondere alla morte con un ultimo richiamo della vita. Eros contro thanatos. E, magari, attraverso Davide, personaggio amatissimo dalla Bibbia, possiamo provare a guardare ai tanti uomini (e qualche donna) che nell’ultima stagione della vita cercano compagne e compagni più giovani credendo così di allontanare la morte che avanza inesorabile all’orizzonte – e, forse, grazie all’affetto per Davide, non condannarli e, se ci riusciamo, donare loro un raggio di pietas umana (la Bibbia è anche una banca dove prendere in prestito, a tasso zero, parole buone sulle debolezze umane).
Ma mentre guardiamo Davide non possiamo non guardare anche Abisàg. Una ragazza, una donna, una persona fragile usata dalla politica di corte (atti comuni in diverse culture e diversi tempi). Ogni tanto continueremo a leggere i racconti biblici mettendoci accanto alle vittime e spesso alle donne. L’episodio del freddo di Davide appare sotto un’altra luce se lo guardiamo con gli occhi di quella ragazza, forse molto giovane, che viene strappata ai suoi familiari e portata a corte per fungere da scaldaletto del re. Proviamo a restare un poco accanto a lei, e in lei accanto alle tante ragazze che continuano a "riscaldare" potenti senza averlo scelto, portate in quei letti dalla povertà loro e dalla forza degli altri. E dopo, se ci riusciamo e non siamo bloccati dal troppo dolore, continuiamo a leggere il resto della storia: «Intanto Adonia, figlio di Agghìt, insuperbito, diceva: "Sarò io il re". (...) Anche lui era molto avvenente; era nato dopo Assalonne. Si accordò con Ioab, figlio di Seruià, e con il sacerdote Ebiatàr, i quali sostenevano il partito di Adonia. Invece il sacerdote Sadoc, Benaià, figlio di Ioiadà, il profeta Natan, Simei, Rei e il corpo dei prodi di Davide non si schierarono con Adonia» (1,5-10).
Adonia è uno dei figli superstiti di Davide, fratello maggiore di Salomone. Come il fratello Assalonne, ucciso durante la guerra civile contro Davide, era alto e bello, e avanzava un diritto di primogenitura e quindi si candidava a diventare successore del padre al trono. Ritroviamo poi personaggi chiave già incontrati nei Libri di Samuele, in particolare Ioab, generale sanguinario di Davide, e Simei, colui che aveva maledetto Davide mentre fuggiva da Gerusalemme nella guerra civile con suo figlio Assalonne. E, nel partito opposto, il profeta Natan, che fa la sua parte di profeta di corte, anche lui ambivalente come il mondo di potere nel quale vive – vedremo che non basta essere un profeta non-falso per evitare di essere un profeta di parte e ambiguo. Ancora pasti comuni che, invece di essere momenti di convivialità, fraternità e comunione, si pervertono e diventano luoghi di conflitto, omicidi e fratricidi, che coinvolgeranno anche Davide e Salomone. Forse per dirci che se Davide e Salomone, nonostante i loro molti peccati e imbrogli, sono stati scelti da Dio, hanno parlato con lui, hanno avuto la sua sapienza e la sua benedizione, anche noi possiamo sperare di parlare con gli angeli, ed essere benedetti da Dio e dalla sua sapienza proprio dentro l’ambivalenza della nostra condizione umana. La Bibbia continua ad amarci così, con questi messaggi di straordinaria speranza carnale e spirituale, divina e umana, santa e peccatrice. Come Davide, come Salomone. Come noi.
Non entreremo dentro la grande bellezza e sapienza dei Libri dei Re se abbiamo paura dei peccati degli uomini e delle donne, se li leggiamo per trovarvi una parola pura perché depurata dalle scorie umane. I Libri dei Re (e tutta la Bibbia, vecchio e nuovo testamento) si aprono solo a chi non si scandalizza dell’umanità tutta intera, della propria e di quella degli altri, perché è da dentro gli abissi delle maledizioni che ci condurranno sulle vette delle loro benedizioni vere. Sono troppe le parole di vita che non ci raggiungono perché, spaventati dal loro involucro di dolore e di peccato, le blocchiamo e non le lasciamo entrare nella nostra carne per curarla e redimerla. Noi proveremo a farci toccare dalle parole-carne di questi libri, con coraggio e senza temere la loro umanità. E allora aspettiamoci di tutto.
l.bruni@lumsa.it