Gentile direttore,dopo le dimissioni di Enrico Letta, sono stato colto dallo "sconfido", da una a certa rabbia, dal desiderio di una politica davvero nuova, diversa, ancorata alla realtà della gente e non a princìpi ideologici e a opportunismi. Una politica (fatta da uomini e donne dediti al servizio del popolo tutto) della quale chi vive nell’Italia vera, quella di cui "Avvenire" scrive, ha assolutamente bisogno per poter continuare a sperare in una "ripresa" concreta, non semplicemente desiderata, annunciata eppure avulsa dal quotidiano dei cittadini normali. Lo stesso desiderio di un anno fa, ma anche di due e di tre... Non che ci credessi più molto in questo governo, nato segnato dalla contraddizioni tra le forze che gli avevano dato vita e che ha fatto pochino e neanche tanto bene. Con le ultime elezioni, poi, sono arrivati in Parlamento tanti volti nuovi, anche molti giovani, in quasi tutti i partiti. Eppure il risultato non è stato il cambiamento che tutti gli italiani si attendevano: stesse beghe, stessi interessi, stesse incapacità a impegnarsi a cercare il bene del Paese, e non quello della propria parte, un altro anno – in fondo – sprecato.Mentre i cittadini soffrono, sono stanchi, sono arrabbiati, sono delusi. Non ne possono più di politici che si dimostrano incapaci di trovare accordi credibili su riforme che aspettiamo da anni, che credono di risollevare le sorti degli italiani affidandoli alle speranze dell’azzardo, che continuano in vari modi a foraggiare banche che si guardano bene dall’erogare crediti a famiglie e imprese. Politici incapaci di valorizzare le risorse di arte, cultura e competenza del nostro Paese e della nostra gente. Incapaci di vedere (anche questa volta) che la prima opera pubblica della quale c’è bisogno è la messa in sicurezza del territorio: quanti posti di lavoro salverebbe e creerebbe, quante vite risparmierebbe, quanti onerosi "stati di calamità" in meno... Incapaci di condividere seriamente i sacrifici economici imposti a chi non può fare altro che subirli.Non ne possono più i cittadini di politici che, mentre la gente fa fatica a campare, perdono tempo a discutere la legalizzazione delle droghe "leggere"– «che tanto non fanno male a nessuno» –, che perdono tempo a cercare di "riprogrammare" il sentire e il sapere delle persone rispetto alla palese realtà dell’esistenza di maschi e femmine. Incapaci per lungo tempo di dare una risposta univoca, forte, solidale alle richieste della popolazione della "Terra dei fuochi". E si potrebbe continuare a lungo... Fare tutto questo in un anno sarebbe stato impossibile, ma ci si poteva rendere conto delle priorità, si poteva incominciare, si potevano trovare accordi per rispondere a problemi reali, ma per lo più non è stato così. Si potevano certamente evitare certi svarioni dannosi, che invece non sono mancati. Se dovessi votare domani sarei molto in imbarazzo nell’indicare una persona nella quale riporre fiducia, fra tutti i nostri rappresentanti in Parlamento, amministratori e governanti, anche perché, votando, non potrei esprimere una reale preferenza. Mi resta la sola speranza che le preghiere di tanti, affinché il Signore illumini le menti dei nostri politici, siano ascoltate e che questa crisi sia la presa di coscienza di un’inderogabile necessità di realismo, concretezza, buon senso, solidarietà da parte di coloro che – è bene ricordarglielo – sono stati eletti da noi per servirci.
Marco Montanari, Carugate (Mi)Caro direttore,perdoni le fantasticherie di un quasi novantenne; di un attempato come me, che assiste impotente allo scempio delle potenzialità culturali e civili della Nazione, diluite in fiumi di chiacchiere, con la pretesa di "fare politica". Da bisnonno, vorrei dire a Matteo Renzi, con tutto il rispetto per la sua intelligenza e le sue fresche energie: era proprio così urgente far dimettere Enrico Letta per sostituirlo? Cambiare il passo, accelerare le possibili risoluzioni dei problemi vitali del Paese non potevano essere incoraggiati e sostenuti dallo stesso vostro partito, così rivivificato dalla nuova guida? Si, dico rivivificato, perché al rallentamento e all’incertezza in cui vivacchia (lo dite voi per giustificarvi) oggi il Governo Letta non potete dire che non ha contribuito il tipo di appoggio che il Pd gli ha dato nelle ultime settimane. Mi sembra che tutti i politici in campo abbiano un po’ perduto la bussola anche delle loro convenienze; così come hanno perduto ogni vero interesse per i problemi del Paese e dei cittadini. Cambiare, cambiare, cambiare è un verbo che sulla bocca dei politicanti batte l’aria da due anni e più. Anche vent’anni fa si pretese di cambiare per rinnovare l’Italia, ringiovanirla, adeguarla ai tempi… L’abbiamo visto come! Ne stiamo pagando lo scotto duramente. E poi, insisto, è vero che Renzi è stato giudicato "grande", il più forte e capace, con tre milioni di voti; ma solo per guidare il partito e non anche per fare subito il presidente del Consiglio dei ministri, mortificando chi stava tirando la carretta per tutti tra tante difficoltà. fratello...Angelo Ambrisi, Mondragone (Ce)Ecco che cosa c’è nella testa degli italiani. Età diverse, pensieri diversi, ma una preoccupazione acutamente motivata e ampiamente condivisa. Una delusione e uno "sconfido" che sono il frutto di concretissime esperienze di fatica e d’impoverimento (in risorse materiali e purtroppo, cosa ancora più grave, in speranza) che segnano come rughe amare il volto del Paese. Credo che tutto questo rappresenti un pro-memoria molto utile per il segretario del Pd e presidente del Consiglio entrante Matteo Renzi, che deve essere consapevole di quanto la sua scelta di rottura del quadro politico di emergenza generato dal voto politico generale di un anno fa e del nuovo equilibrio di governo che a fine 2013 era stato saggiamente creato attorno a Enrico Letta sia sentito come una prosecuzione con altri mezzi della vecchia politica di palazzo. Un paradosso stridente: una «discontinuità» inseguita e ottenuta a ogni costo che viene percepita da tanti come una brutta e ingenerosa «continuità» con deludenti riti e miti politici del passato (dalle litigiose "staffette" alla retorica del "novismo"). Per ribaltare questo severo e persino sferzante giudizio servono fatti, non parole. Servono segnali precisi, forti, efficaci di sostegno alla famiglia, soprattutto quella con figli, e di impegno per riaccendere il circolo virtuoso impresa-lavoro. Serve una partenza davvero "bruciante", che spazzi via le scorie accumulate e faccia capire che l’ordine delle priorità per l’Italia e gli italiani non si può capovolgere (come certe lobby vorrebbero) per pavidità o interessata malizia.