Opinioni

Volontà del servizio, elemento integrante del bene comune. La dignità dell'umana fatica

Fernando Ocáriz venerdì 30 aprile 2021

In questo giorno del Primo Maggio in cui celebriamo in tutto il mondo la festa dei lavoratori, e in molti ricordiamo san Giuseppe lavoratore, possiamo tornare a riflettere sul fatto che nel lavoro la persona è coinvolta in ogni sua dimensione: intelligenza, volontà, sentimenti, aspirazioni. «È la prima vocazione dell’uomo: lavorare. Ed è ciò che gli dà dignità» (Papa Francesco, 1 maggio 2020).

La pandemia continua a flagellare il lavoro di milioni di uomini e donne: posti persi e aumento della precarietà. Queste due ferite, disoccupazione e precarietà, ci interrogano sul lavoro del futuro. In tanti luoghi, infatti, la crisi sanitaria ha spostato il lavoro in presenza verso il monitor del proprio domicilio, con aspetti positivi e negativi. Nel lavoro da remoto comproviamo il successo della tecnica e il suo limite. Se da un lato è cresciuta l’efficacia e si sono superati ostacoli che sembravano insormontabili, allo stesso tempo verifichiamo che la persona umana ha bisogno di relazioni reali, non virtuali, per condividere ciò che a ciascuno di noi alberga nel cuore.

Il tempo trascorso dall’inizio della pandemia ci conferma pure che la crisi è trasversale, che si estende a tutta l’umanità, e che il lavoro dovrebbe essere il nucleo di un futuro migliore. Conservare e creare posti di lavoro, con la creatività di chi cerca il bene altrui, è forse oggigiorno uno degli imperativi della carità.

Davanti a tante situazioni personali infrante, il lavoro ci offre l’opportunità di crescere in altre delle sue dimensioni: la capacità di accoglienza e l’apertura agli altri. Nella confluenza tra rovina e accoglienza rinasce la nostalgia della trascendenza, il desiderio di andare oltre se stessi, di assistere ed essere assistiti, di aiutare ed essere aiutati, prime conseguenze del saper ammettere di essere vulnerabili. C’è la possibilità, e la necessità, di un lavoro, in cui abbiano posto la dignità e l’incontro, che si trasformi in dialogo con se stessi e con gli altri. Un lavoro che presenta un fine condiviso, risveglia flussi di comprensione, contribuisce a usare il "noi", aiutando a superare differenze e ad aprirsi a una mutua conoscenza; arricchisce con l’interscambio di competenze e con la partecipazione a processi creativi.

Il lavoro si manifesta così nella sua vera ampiezza, come "luogo" in cui tutti possiamo apportare qualcosa, e non solo dal punto di vista economico. La comune vocazione degli uomini e delle donne al lavoro ci fa convergere nel compito di "ricreare" il mondo e le sue relazioni. Perciò quando il lavoro perde in qualche modo la sua dignità, viene deformata la persona nel suo essere più profondo.

Nella ricerca di approcci nuovi, poiché non sembra che si possa tornare indietro, l’amore al prossimo stimola la creatività per trovare nuove strade al fianco di ogni altro nostro concittadino. È giusto usare il plurale perché, in questo caso, la via non è una soltanto, ma sono molte, e tutte ispirate a una volontà di servizio, elemento integrante del bene comune. Comunque sia infatti – e san Josemaría Escrivá ("È Gesù che passa", n. 48) ci aiuta a comprenderlo – la dignità del lavoro è fondata sull’amore: «Il grande privilegio dell’uomo è di poter amare, trascendendo così l’effimero e il transitorio. Può amare le altre creature, può dire un" tu" e un "io" pieni di significato. E può amare Dio, che ci apre le porte del cielo, ci costituisce membri della sua famiglia, ci autorizza a "dar del tu" anche a Lui, a parlargli faccia a faccia. L’uomo, pertanto, non deve limitarsi a fare delle cose, a costruire oggetti. Il lavoro nasce dall’amore, manifesta l’amore, è ordinato all’amore».

Fernando Ocáriz è prelato dell’Opus Dei​​