Analisi. Il documento sul primato petrino dice tre cose importanti a tutti i cristiani
Il Papa assieme ad Aram I, catholicos della Chiesa Apostolica Armena, ricevuto in udienza mercoledì
È di una grande ricchezza il Documento di Studio del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, intitolato Il Vescovo di Roma. Primato e Sinodalità nei dialoghi ecumenici e nelle risposte all’Enciclica Ut unum sint. Sin dall’inizio ne viene così descritta l’origine: «La genesi di questo documento risale all’invito rivolto a tutti i cristiani da San Giovanni Paolo II a trovare, “evidentemente insieme”, le forme in cui il ministero del Vescovo di Roma “possa realizzare un servizio di amore riconosciuto dagli uni e dagli altri” (Ut unum sint, 25 maggio 1995, 95). Numerose sono state le risposte a questo invito, così come le riflessioni e i suggerimenti provenienti da vari dialoghi teologici ecumenici». È questo il materiale raccolto e sintetizzato nel Documento. Che il Papa chiedesse a tutte le Chiese e Comunità cristiane di aiutarlo a disegnare una forma di esercizio del suo ministero universale di unità rispettoso di ciascuna e al servizio di tutte, era un invito talmente sorprendente e affascinante che la maggior parte di esse si accinsero a rispondere con grande impegno e onestà. La raccolta di queste risposte rappresenta già di per sé un contributo unico al cammino verso l’unità voluta da Cristo, ma ancor più colpisce e stimola in esse la polifonia delle voci, la varietà degli aspetti evidenziati, l’insieme delle domande poste e delle ipotesi avanzate. Non potendo rendere ragione di una così copiosa messe di dati, mi limito a sottolineare tre aspetti, che dicono comunque il grande significato di questo documento per chiunque si senta chiamato a servire la causa ecumenica.
In primo luogo emerge come il primato del Vescovo di Roma al servizio della comunione di tutte le Chiese sia questione di assoluta rilevanza per tutti i cristiani: non si tratta di un tema interno alla Chiesa cattolica, ma dell’espressione di un bisogno e di una domanda, che oramai tutte le confessioni cristiane riconoscono ineludibili. «I dialoghi teologici e le risposte all’enciclica Ut unum sint (molte delle quali fanno implicitamente o esplicitamente riferimento ai risultati di questi dialoghi teologici) testimoniano un nuovo e positivo spirito ecumenico nella discussione di questa questione. Nella sua enciclica, Papa Giovanni Paolo II aveva già fatto riferimento a questo nuovo clima, notando che dopo secoli di aspre polemiche, le altre Chiese e Comunità ecclesiali sempre di più scrutano con uno sguardo nuovo tale ministero di unità» (n. 31). La sfida della globalizzazione, che fa del mondo intero un “villaggio” interconnesso dalla rete informatica e dagli scambi fra popoli e persone sempre più rapidi e frequenti, è certamente alla base di questa nuova esigenza di un’unità universale dei discepoli di Cristo, ma non di meno ha contribuito allo sviluppo di quest’attesa condivisa la maturazione della coscienza ecumenica in tanti gruppi e in moltissimi cuori.
In secondo luogo le nuove sfide della missione cristiana - dovute ai rapidi cambiamenti storici, sociali, culturali e politici in atto un po’ dappertutto - spingono i cristiani divisi a confrontarsi con segni dei tempi ineludibili, in cui risulta netta e urgente la chiamata dell’unico Signore Gesù a porsi insieme al servizio dell’annuncio del Vangelo a ogni uomo e a tutto l’uomo. Afferma il Documento: «Il dialogo dell’amore e il dialogo della vita non devono essere intesi solo come una preparazione al dialogo della verità, ma come una teologia in azione, capace di aprire nuove prospettive ecclesiologiche» (n. 32). Detto in altre parole, tradurre la fede in vita e irradiarne la forza e la bellezza è compito che non si può più portare avanti su fronti contrapposti, ma esige una comune confessione che si faccia testimonianza e servizio animato dalla carità di Cristo, irradiazione di una comunione da cercare e vivere sempre più, perché saremo conosciuti come discepoli del Signore solo se sapremo volerci bene gli uni gli altri. Afferma il Documento: «L’ecumenismo teologico dovrebbe riflettere non solo sulle differenze dogmatiche sorte nel passato, ma anche sull’esperienza attuale dei nostri fedeli. In altre parole, il dialogo sulla dottrina potrebbe adeguarsi teologicamente al dialogo della vita che si sviluppa nelle relazioni locali e quotidiane delle nostre Chiese, le quali costituiscono un vero e proprio luogo teologico» (n. 32).
Infine, è un atteggiamento di simpatia verso l’umanità intera quello che viene richiesto a tutte le Chiese, come a ogni singolo cristiano: da una Chiesa dirimpettaia del mondo e perfino contrapposta ad esso, è sempre più necessario passare nello spirito del Concilio Vaticano II a una Chiesa che fa sue «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono», perché «nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel cuore» dei discepoli di Cristo (Gaudium et Spes, 1). Come si può costruire un comune dialogo con gli uomini, che sia anche autentico “colloquium salutis” e quindi annuncio e trasmissione della salvezza che viene da Dio a ogni fratello o sorella in umanità, se si pretende di essere uniti a Lui, mentre si è divisi fra noi? Anche da questa osservazione è andata maturando l’urgenza di riscoprire un ministero universale di unità, che aiuti tutti i cristiani a essere una sola voce e un’anima sola di fronte al mondo. Ponendoci tutti al servizio della causa di Dio per il bene degli uomini, sentiamo le nostre divisioni vacillare, i nostri “localismi” ridimensionarsi e crescere l’urgenza di una nuova comunione, promossa e sostenuta da un ministero universale di unità, quale è quello che il vescovo di Roma sempre più potrebbe offrire a tutti i discepoli del Signore, per il bene dell’intera famiglia umana. Afferma il Documento: «In un mondo sempre più globalizzato, molte comunità cristiane, che hanno a lungo privilegiato la dimensione locale, sentono sempre più la necessità di un’espressione visibile della comunione a livello mondiale» (n. 82). La sfida ecumenica non può essere privilegio di pochi, ma è vocazione e impegno per tutti: e il ruolo che può esercitare in essa il Vescovo di Roma appare sempre più rilevante e necessario per il bene di tutti e al servizio di tutti!
Arcivescovo di Chieti-Vasto