Priorità ai poveri e a cure all’altezza. Prima la vera salute di tutti
Come ogni anno l’avvicinarsi della stagione estiva induce a un certo rilassamento, all’aspirazione di un rallentamento delle attività e, per molti, a un meritato riposo. Bene approfittarne per rilassarsi e ricaricarsi un po’, nonostante i tempi drammatici che stiamo vivendo anche per la guerra che insanguina e distrugge l’Ucraina, entrata in una nuova fase dopo l’invasione russa, che sconvolgendo l’Europa e creando gravi conseguenze in un mondo già segnato e provato dalla pandemia e dalla crisi climatica. Non si può, dunque, dimenticare la realtà, ed è saggio cercare di prepararsi bene ad affrontare le difficoltà incombenti, in particolare quelle si annunciano per la seconda parte dell’anno.
Aleggia la minaccia di una nuova recessione globale. Le interruzioni delle catene di approvvigionamento hanno fatto aumentare drammaticamente il costo della vita per milioni di persone in tutto il mondo. I governi hanno ridotto le protezioni sociali su cui le comunità avevano fatto affidamento durante la pandemia. Poiché i tassi di inflazione annui nei Paesi ad alto reddito si avvicinano al 10%, un numero crescente di persone è costretto a scegliere tra dar da mangiare ai propri figli o pagare le bollette. Storie di famiglie che saltano i pasti o fanno la fila alle mense delle organizzazioni caritatevoli e vivono al buio per paura dell’escalation dei prezzi dell’energia stanno diventando comuni, troppo comuni. E questo ha superato il Covid come preoccupazione principale in molte comunità.
In Italia sono ormai più di 5 milioni e mezzo i cittadini che vivono in povertà assoluta e quindi con problemi di sicurezza alimentare, ma si stimano in 7 milioni quelli che vivono in povertà relativa, e il numero è purtroppo destinato a crescere. Il problema non è solo italiano: ad aprile 2022 un adulto su sette (7,3 milioni) e 2,6 milioni di bambini avevano problemi di sicurezza alimentare pure nel Regno Unito. È sorprendente che così tante persone non siano in grado di soddisfare i propri bisogni primari in alcuni dei Paesi più ricchi del mondo. La guerra in Ucraina sta minacciando anche coloro che si trovano in contesti a medio reddito e le esportazioni interrotte di grano e altre derrate alimentari stanno creando, come questo giornale documenta da settimane, choc alimentari in molti Paesi, specie in Africa. L’emergenza mondiale non potrà, purtroppo, che peggiorare. La Ue ha rivisto al ribasso le sue previsioni di crescita nei Paesi dell’Eurozona per il 2022, dal 4% al 2,7%. La crescita diminuirà ulteriormente nel 2023, al 2,3%. Il risultato sarà una riduzione dei redditi netti, un aumento della disoccupazione e un aumento dei tassi di precarietà sociale. Il Governatore della Banca d’Inghilterra ha invocato la visione di un’apocalisse per riassumere l’attuale crisi, quello della Banca d’Italia ha usato toni meno drammatici, ma è sulla stessa linea.
Tutto ciò avrà gravi conseguenze per la salute della popolazione e, purtroppo, la risposta attualmente offerta dal nostro Servizio sanitario nazionale (Ssn), anzi dai 21 Servizi sanitari regionali, non pare essere all’altezza della sfida. In un Paese in cui per oggettive difficoltà di finanza pubblica, l’azione del governo per mitigare la crisi del costo della vita è stata minima, la necessità di un intervento più audace è urgente su questo fronte e su quello del contrasto alle povertà. Non a caso il nuovo governo francese ha fatto di questa esigenza la priorità assoluta e ha dichiarato che cercherà di proteggere materialmente i cittadini che hanno espresso le loro frustrazioni sia alle urne sia nelle proteste di piazza.
Una buona alimentazione, un riparo e la capacità di condurre una vita dignitosa sono basi essenziali per una buona salute, ma è necessario anche il rafforzamento dei servizi sanitari. La tempesta perfetta del Ssn che preconizzavo con alcuni colleghi nel 2015 si è abbattuta sugli italiani soprattutto, ma non solo, a causa del Covid, e la crisi strutturale che ormai lo avvolge deve essere affrontata con maggiore energia e lucidità, pena il suo definitivo affondamento.
Lo sforzo del Governo, su impulso del ministro della Salute, per aumentare le risorse è stato enorme: 10 miliardi in più nel 2019 e altrettanti previsti per i prossimi tre anni sono cifre importanti, ma ancora non sufficienti per incidere veramente sul punto più debole che è quello del personale: carente, mal pagato, scarsamente incentivato e non adeguatamente go- vernato. Le sfide del presente vanno affrontate subito: i professionisti sanitari vivono ormai, soprattutto quelli ospedalieri, una vera e propria sindrome da Fort Alamo, perché pressati da enormi carichi di lavoro da eseguirsi in tempi sempre più brevi associati, anziché a un aumento delle risorse, a una continua richiesta a ridurre i costi.
I governi si trovano di fronte a due scelte obbligate: garantire che i cittadini possano mantenere un tenore di vita dignitoso durante questa crisi e soddisfare i bisogni di salute della popolazione garantendo i servizi essenziali compatibilmente con le risorse disponibili. Il compito di chi cura e di chi fa informazione è invece quello di continuare a rendere chiare le conseguenze per la salute derivanti dalla mancata protezione delle comunità sia dalle crisi del costo della vita sia dalla riduzione dei servizi sanitari e proporre concrete soluzioni per un sistema che avrebbe disperatamente bisogno di stabilità e di una leadership forte per il cambiamento e non di una guida incerta e incoerente.