Cultura del dono: attualità e valore. Prima il bene (pur imperfetto)
Le risorse per finanziare beni pubblici (salute, istruzione, tutela del territorio e del nostro patrimonio artistico) sono sempre scarse e insufficienti a soddisfare bisogni che si fanno sempre più pressanti. Gran parte del dibattito di politica economica in Italia gira attorno a questo annoso problema snodandosi dalla discussione del Documento di economia e finanza preceduto dalla Nota di aggiornamento sino a quella che sta accompagnando il varo della Manovra per il 2020.
Nel nostro Paese più che in altri si ignora forse il contributo finanziario che a esse potrebbe dare una soluzione che combina tre ingredienti presenti in quantità assolutamente abbondante, ma che ad oggi non s’incontrano tra loro facilmente. I primi due ingredienti sono il desiderio assolutamente umano di vincere l’usura del tempo, di essere ricordati con gratitudine, anche dopo la conclusione della propria vita terrena, e la disponibilità, quando le risorse finanziarie ci sono, a donare per una causa meritoria. Il terzo è la presenza di opere sociali, opere d’arte e ambienti nei quali è possibile rendere questa donazione visibile. Sono tre ingredienti che possono diventare input di una "funzione di produzione" del tutto particolare, ma capace di generare valore prezioso per il Paese.
Ricordare benefattori e donatori con una targa vicino all’opera che ha ricevuto la donazione è una pratica molto diffusa nel mondo anglosassone di fronte alla quale noi italiani siamo spesso scettici e critici. Con un articolo di qualche anno fa il "New York Times" per contestualizzarla e incarnarla in una realizzazione concreta ricorda che nel Centro dei Bambini di Salt Lake City, sede di una organizzazione non profit americana dove operatori sociali lavorano con bambini diversamente abili i genitori dei ragazzi incontrano lo staff nella sala intitolata a Katherine W. Dumke and Ezekiel R. Dumke Jr. Ogni stanza della struttura è dedicata a un donatore che ha lasciato mediamente una somma pari a 35mila euro.
In Italia l’offerta di strutture di organizzazioni non profit dedicate a scopi meritori è quasi infinita. Per non parlare del nostro patrimonio artistico. Nel mondo ci sono circa 36 milioni di milionari e 2.153 miliardari secondo i dati Forbes. Se solo il 10% di questi fosse interessato a restare ai posteri con una donazione di 50mila euro legata a un’impresa sociale o a un’opera artistica del nostro territorio (in una delle città d’arte note in tutto il mondo come Venezia, Firenze, Roma Napoli, Palermo, Assisi, Matera e tantissime altre) avremo a disposizione 180 miliardi. Per le opere più importanti sarebbe possibile realizzare delle aste dove quella cifra potrebbe essere la base e il valore realizzato potrebbe essere alla fine molto più elevato.
È possibile, come negli Stati Uniti, incentivare queste donazioni con parziali detrazioni fiscali (per donatori con residenza fiscale nel nostro Paese) e determinare che il riconoscimento con una targa sia a scadenza (ovviamente in questo caso il valore ricavato dalla donazione sarà minore).
Possiamo ragionare su tutte le possibili controindicazioni di questa pratica. Si osserva che una donazione vale di più quando è anonima, a qualcuno può dar fastidio trovare una targa e dei nomi vicino ad una struttura o ad un’opera d’arte, ma pensare che questo possa rovinarla è forse un po’ troppo.
A una prima impressione, la dedica di luoghi a benefattori ci può apparire una stravaganza tipica della cultura anglosassone, ma se ragioniamo un poco più in profondità ci accorgiamo che non è così.
I nostri musei e le nostre chiese sono pieni di capolavori del passato nei quali oltre ai temi tradizionali di carattere religioso o meno sono raffigurati in un angolo del dipinto i volti del mecenate di turno che con le proprie risorse ha finanziato l’autore e la realizzazione dell’opera. In modo molto più capillare e diffuso i banchi delle nostre chiese presentano in larghissimo numero delle iscrizioni con nomi e cognomi corrispondenti alle famiglie donatrici che hanno consentito alla comunità di acquistarli.
Se la pratica della munificenza 'incentivata' dal ricordo a memoria imperitura della persona che ha contribuito con le proprie risorse ad acquisire l’opera è di fatto non ignota e largamente diffusa nella nostra cultura cosa ci impedisce di estenderla ed aggiornarla per adeguarla ai bisogni dei nostri tempi? Possiamo aspettare invano una vita intera il bene perfetto, intanto il bene imperfetto con tutti i suoi limiti può essere molto generativo e utile.