Ma serve gridare "al lupo al lupo"? È la domanda che è necessario porsi dopo giorni di allarmi maltempo e dopo la sentenza di assoluzione della Commissione grandi rischi per il terremoto dell’Aquila. La clamorosa condanna in primo grado per omicidio colposo degli scienziati aveva provocato lo stesso effetto "iperprudente" delle denunce e delle inchieste sui medici: se questi ora ci fanno firmare pile di documenti prima di una banale operazione, lo stesso avviene per le emergenze ambientali. Così giornali e giornalisti vengono assediati ogni giorno da bollettini della Protezione civile che, quasi mettendo le mani avanti, elencano criticità di vari colori, sottolineando le conseguenze prevedibili e invitando Regioni, altri Enti locali e cittadini a tenerne conto. È sulla base di questi che i sindaci chiudono le scuole, bloccano il traffico o invitano a salire ai piani alti (come ieri a Carrara).Bene? Troppo? Lo abbiamo scritto tante volte che «non è il terremoto che uccide, ma la casa che ti cade addosso». E lo stesso vale per un fiume, che quando esce dal suo corso e uccide lo fa perché è diventato un tubo (Genova) o perché i lavori di messa in sicurezza sono stati fatti male (Carrara) o perché si è costruito dove non si dovrebbe. C’è sempre la mano dell’uomo, che non mette in sicurezza o toglie sicurezza. Vale per le alluvioni, e anche per i terremoti. I palazzi all’Aquila sono caduti perché non erano antisismici in un’area sicuramente sismica. E già ci sono state le prime condanne. Queste, sì, per precise responsabilità. Così come nell’inchiesta per l’alluvione nel Gargano di settembre (due morti) gli uomini della Forestale hanno scoperto 50 case abusive a ridosso dei canali di deflusso delle acque piovane. Qui sono le responsabilità, e qui bisogna agire con puntuali interventi di prevenzione.Gli allarmi quindi non sono inutili, anche se alcune volte appaiono ridondanti. In un Paese fragile come l’Italia serve una vera cultura di protezione civile. E questo prevede sistemi di allarme con responsabilità istituzionali, ma anche dei cittadini. Non è più il tempo di proteste "dopo" i danni e di proteste "prima", se il sindaco si allarma troppo. Anche questo ci insegna la vicenda della Grandi rischi. In attesa di leggere le motivazioni della sentenza d’appello, la assoluzioni sembrano confermare che non è ai comunicati ritenuti tranquillizzanti di allora che vanno ascritti i morti. Prevedere non è possibile, ma prevenire sì. E anche abituarci a convivere, allarmi compresi, con una natura che spesso per colpa dell’uomo può farci molto male.