Opinioni

Una vita dedicata a Cristo. Preti centenari, il segreto della letizia

Marina Corradi domenica 14 dicembre 2014
Cento anni. Il tempo più lungo, o quasi, ento anni. Il tempo più lungo, o quasi, concesso a un uomo. Un traguardo che può perfino far paura: quell’età non ci fa forse pensare al declino fisico e mentale, e alla solitudine, quando tutti i coetanei se ne sono andati? Due sacerdoti compiono, in questi giorni, cento anni: don Nicola Tiscornia, di Chiavari, e don Piero Arrigoni, lombardo, di cui leggete nella Cronaca di Milano. Don Piero ha 75 anni di sacerdozio, don Nicola, nato in Argentina da emigrati italiani, addirittura 77. Entrambi ricordano il primo incarico in inaccessibili paesini di montagna, entrambi hanno la memoria di una vita povera, della guerra, ma anche di gioie semplici, e di tanti bambini che hanno visto diventare uomini e padri, e nonni. Ma, soprattutto, i due sono concordi in una cosa rara: sono, affermano, uomini felici. A cento anni. Ne bastano parecchi di meno, a tanti di noi, per sentirci vecchi; e messi da parte, o comunque tristi, perché che la vita è quasi finita.  Non è facile trovare nemmeno un ottantenne, che si dichiari lieto e in pace. Invece, sentite don Arrigoni: «Essere sacerdote mi è sempre piaciuto, e vivo felice. Chiedo al Signore di darmi una buona morte. A quel momento penso con gioia, non mi fa paura, anche se certo non lo desidero. Chiedo di poter morire con il sorriso di chi è contento di andare a vedere il Signore. Dio è mio amico». E il suo coetaneo ligure lascia questa consegna: «Avere sempre grande speranza e gioia. Partendo da Cristo, mettendosi nelle sue mani e nel suo cuore».  A cento anni, felici. Sereni perfino davanti alla morte: perché si torna a casa. Ma che stupore desta questa gioia, in un mondo ripiegato nel lamento o nella rivendicazione. Felici, dicono. E ti vien voglia di conoscerli. Perché ti contagino il loro segreto buono. («Introibo ad altare Dei, ad Deum qui laetificat juventutem meam». «Salirò all’altare di Dio, al Dio che allieta la mia giovinezza», recitava l’antifona della messa tridentina).