Opinioni

Gli autocrati sono tutti in scena. Povero mondo capovolto

Fabio Carminati venerdì 11 marzo 2022

Nulla è gratis: negli affari, in politica e soprattutto in guerra. Quello a cui si sta però assistendo in questi giorni va ben oltre gli utili da ricavarne. Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si impanca a grande mediatore nella guerra in Ucraina, la Cina di Xi Jinping dà lezioni di correttezza agli Stati Uniti d’America per dimostrare all’amico (ma non troppo) russo la propria autonomia, il caudillo venezuelano Nicolás Maduro torna negli Usa dalla porta principale assurgendo a salvatore delle riserve petrolifere di Joe Biden che invece trova chiusa la porta dei tradizionali alleati arabi nel Golfo.

Insomma, in questo mondo capovolto e devastato dall’azione manu militari dell’autocrate del Cremlino, gli altri autocrati o dittatori veri e propri o, comunque, quelli che a soli (e forti) “uomini al comando” si atteggiano, occupano anche mediaticamente i ruoli da salvatori del mondo (o anche appena di puntello a questo e o quel mondo, spaccato e contrapposto). La Cina di Xi Jinping – gigante globale, ma tristemente nota anche per le violazioni dei diritti civili in Tibet, Xinjiang e a Hong Kong – è ormai un certo ago della bilancia.

Pronta a incassare tutto quanto può dall’amicizia interessata con Vladimir Putin e a sfruttare la dura postura americana verso Mosca per rilanciare e consolidare il proprio ruolo di terzo grande perno nel mondo multipolare che s’annuncia. Il Venezuela dell’erede (in sedicesima) di Hugo Chávez viene riammesso tra gli interlocutori ufficiali in nome dell’emergenza energetica che negli Usa e in tutto l’Occidente ha scatenato l’invasione russa dell’Ucraina, e il grande oppositore Juan Guai sembra ormai letteralmente e definitivamente rimosso anche dall’immaginario collettivo oltre che dalle tutele internazionali che gli erano state garantite da Washington. Il coltivatore texano costretto a pagare la benzina quasi due volte quanto la pagava ai tempi di Donald Trump non può che imputare questo alla Casa Bianca.

E quindi da Pennsylvania Avenue l’ordine impartito è chiaro: Maduro non è più un nemico e ancor meno di lui il suo petrolio. Discorso più complesso quello che riguarda invece Erdogan. L’autocrate di Ankara ha fatto prendere a calci le donne scese in piazza non più tardi dell’altro giorno, per l’8 marzo, tiene in galera migliaia di oppositori dopo il (presunto) golpe sventato, continua la caccia ai curdi anche oltre il confine con la Siria (dove resta uno degli occupanti) e utilizza ancora come difesa antiaerea gli S-400 russi nonostante sia a capo di Paese membro dell’Alleanza Atlantica. Erdogan è presidente eletto e leader assoluto, uomo dell’Occidente e dell’Oriente, amico e competitore del Cremlino e partner dell’Ucraina, ospite di grandi e piccole mediazioni e invasore che non condanna le invasioni altrui, neppure quella del 'collega' Putin. Può il mondo mettere proprio tutto in nome della pace da ristabilire?

Può chiudere entrambi gli occhi davanti al passato per paura di riaprirli e constatare che la guerra è arrivata per davvero sull’uscio di casa? Tutto si può perdonare tutto, ma non si può dimenticare. In pace, come in guerra, non ci son regole ferree. Quelle dei diritti fondamentali però sono scritte con il sangue delle guerre che hanno preceduto questa. Ricordarlo aiuta.