Violenze. Lessico da anni 70 e gesto della P38. Ma la politica non è scontro continuo
Troppo giovani per ricordare quegli anni terribili, non abbastanza giovani per essere giustificati. Tra i tanti gesti brutti e da condannare compiuti nei cortei di ieri per il cosiddetto “No Meloni day”, in particolare in quello di Torino, si è rivisto “quel” gesto: l’indice e il medio della mano uniti, il pollice aperto a simboleggiare una pistola, la Walther P38 appunto, arma prediletta dall’estremismo rosso negli anni 70 del secolo scorso.
Anni che ogni italiano di buon senso - quali che siano le sue idee politiche - sperava definitivamente archiviati. E invece riecco quel gesto, fatto da studenti che, ripetiamo, sono troppo giovani per ricordare e troppo cresciuti per essere giustificati. Tanto più se spalleggiati da attivisti che a quel passato in qualche modo si rifanno.
Siamo dunque stati facili profeti, qualche giorno fa, a sostenere che certe espressioni risuonate di recente nel dibattito politico «ci riportano al lessico del ’77, alle chiavi inglesi e alle P38». Nessun merito, ma soltanto la consapevolezza che le atmosfere avvelenate conducono inevitabilmente ad affermazioni sempre più estreme e a manifestazioni sempre più estremiste. Un estremismo che, lo ripetiamo, andrebbe circoscritto a frange ridotte che una democrazia liberale salda nei suoi equilibri istituzionali (anche nella sana dialettica tra maggioranza e opposizione) deve sapere isolare. E deve saper prevenire il possibile contagio in quelli che sono pensati come spazi di libertà e di crescita nel dialogo: le scuole e le università.
Il campionario di violenza e prepotenza osservato venerdì 15 novembre, francamente, non rassicura. In primo luogo la deliberata aggressione alle forze dell’ordine a Torino con un petardo urticante che ha mandato in ospedale una ventina di agenti. Bene hanno fatto la segretaria del Pd Elly Schlein e altri esponenti dell’opposizione, come Matteo Renzi e Carlo Calenda, a esprimere subito solidarietà e vicinanza ai poliziotti feriti. Bene ha fatto la premier Giorgia Meloni ad auspicare che tutti condannino la violenza, pur non resistendo alla tentazione di accusare «certa politica» di «proteggere o giustificare queste violenze». Solo qualche ora prima, tra l’altro, il “suo” sottosegretario alla Giustizia ed esponente di Fratelli d’Italia Andrea Delmastro affermava di provare «una gioia intima» nel sapere che « non lasciamo respirare chi sta dietro il vetro oscurato» di un nuovo blindato in dotazione alla Polizia penitenziaria. Sembrano questioni distanti tra loro, invece no.
Perché lo Stato di diritto deve valere per tutti, altrimenti non è tale. Deve valere per le manifestazioni di piazza, per gli arrestati, per i detenuti, per i cittadini a piede libero, per le forze di polizia. Tutti hanno diritto di respirare, di esistere, di professare le proprie idee. Bisognerebbe spiegare a quei ragazzi che hanno replicato il gesto della P38 (ma evidentemente anche a certi politici) che la politica non è uno scontro continuo, che la sua declinazione secondo le categorie “amico-nemico” è un concetto elaborato tra gli anni 20 e 30 del 1900 dal giurista tedesco Carl Schmitt, il quale non solo aderì al nazismo ma sosteneva che «sovrano è chi governa lo stato di eccezione».
Ecco, per la nostra Costituzione «la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti» della Costituzione stessa. Democrazia e Stato di diritto. Dove ci sono avversari e non nemici. Dove bruciare la sagoma di un ministro e dipingere di rosso sangue le foto della presidente del Consiglio sono azioni da condannare unanimemente. Negli anni 70 molte mani esibite nel gesto della P38 finirono per impugnare pistole vere. E spararono. E uccisero. Sul versante opposto, l’idealizzazione distorta di una terribile dittatura tramandata da padri e da nonni si trasformò in altre pistole. E bombe. Che esplosero. E uccisero. Tutti, con le azioni e con le parole, abbiamo il dovere di far sì che quel passato non torni mai più.