Politica estera da riaccendere. Italia occidentale ed euromediterranea
L’incombente Manovra di bilancio per il prossimo anno e la necessità di trovare le risorse per sterilizzare l’indiscriminato aumento automatico dell’Iva sono le urgenze sempre ricordate – e persino autoevidenti – per il prossimo governo. E tuttavia, apparentemente meno impellenti, ve ne sono altre. Tra queste criticità, e di certo non meno prioritaria, vi è quella che imporrà al nuovo esecutivo di re-imparare i fondamentali della politica estera del nostro Paese.
Chiunque sia il futuro ministro degli Esteri suo sarà il compito, assieme al presidente del Consiglio (dato che sempre più la politica estera è nelle mani dei capi di governo) di far dimenticare l’indisciplina e, talora, il vero e proprio analfabetismo diplomatico che ci ha contraddistinto negli ultimi mesi quando membri politici del Governo si sono arrogati temi e addirittura competenze del titolare della Farnesina, il "tecnico" Enzo Moavero Milanesi (che ha preso la sua rivincita aiutando il premier Conte a fermare l’europrocedura di infrazione per deficit eccessivo).
La prima regola, quella aurea, che sarà saggio ribadire è che la politica estera di uno Stato è intrinsecamente strategica: lega gli eventi e le crisi del momento, le contingenze sul breve termine, con una visione di lungo periodo ancorata ad alleanze consolidate e a scelte di campo stabili anche se non immobili. Nulla è peggio che asservirla alla logica dei "like" e delle frasi a effetto sui social, delle simpatie e antipatie personali, rincorrendo quel consenso via smartphone che sta togliendo il senno a politici di tutto il mondo.
E non vi è dubbio alcuno che il pilastro strategico del nostro Paese sia – dopo la catastrofe della Seconda guerra mondiale – incentrato sull’Occidente e dentro l’Unione Europea. Il demagogismo velleitario e autolesionista di alcuni politici ha trasformato l’Europa nel capro espiatorio da gettare in pasto all’opinione pubblica, con il risultato di marginalizzarci e di farci apparire nel torto anche quando le nostre richieste erano, e sono, sacrosante. Dalla scelta europea non possiamo prescindere, né da quella atlantica: sono i due pilastri che garantiscono il nostro benessere e la nostra sicurezza.
Certo, comprendere che Nato e Ue sono l’asse strategico della collocazione internazionale della nostra Repubblica non significa essere acritici o muti dinanzi alle loro storture o rinunciare a difendere i nostri interessi nazionali, perché a Bruxelles ognuno lo fa, e più sei forte (come la Germania) o scaltro (come la Francia) più riesci nell’impresa. Ma di sicuro correre ora ai piedi di Putin, ora a quelli di Trump o scimmiottare le forze di protesta anti-sistema non costituiscono la strada per ottenere di più e di meglio.
Più opportuno sarebbe guardare alla storia della vituperata Prima Repubblica: anche in momenti di crisi o debolezza, l’Italia non ha mai rinunciato a suoi gradi di autonomia in politica estera.
Anzi, spesso abbiamo fatto da apripista per il resto dell’Occidente: dalle coraggiose politiche energetiche di Mattei alla produzione di modelli Fiat in Unione Sovietica, dalla visione mediterranea di Moro e Andreotti al ruolo di pontieri verso l’Iran negli anni 90. Oggi, con la Cina che si affaccia sullo scenario euromediterraneo, possiamo agire ancora una volta da apripista e da mediatori, senza fughe in avanti, ma dimostrando (e facendo capire) che adeguarsi ai cambiamenti geopolitici del sistema internazionale è l’unica alternativa al subirli. Non occorre quindi rinnegare gli accordi presi con Pechino, il cui ruolo è crescente e duraturo, ma gestirli e comunicarli meglio ai nostri alleati.
E , infine, non possiamo dimenticare che l’Italia ha una vocazione mediterranea dettata dalla sua stessa geografia. Lo sguardo isterico e persino disumano verso tutto ciò che avviene o arriva da quel bacino va contro la nostra tradizione, la nostra etica e anche contro i nostri interessi. Nella regione sono in atto mutamenti geopolitici, demografici, economici che attraverseranno tutto il secolo che stiamo vivendo. Dobbiamo quindi tornare a una visione lunga, ridando centralità anche alla macchina diplomatica, troppo spesso bypassata o marginalizzata, per capire come gestirli al meglio, insistendo per avere più Europa nel Mediterraneo e non meno Italia in un bacino da cui non possiamo scappare. Ai futuri governanti si potrebbe quanto meno suggerire qualche foto al mare in meno e qualche dossier letto con attenzione in più.