Opinioni

Editoriale. Politica e illegalità, l'auto-trappola dell'astensione

Marco Iasevoli venerdì 19 aprile 2024

Le inchieste che si moltiplicano sul voto di scambio e su presunte corruttele negli enti locali evidenziano i gravi rischi per la democrazia innescati dalla crisi dei partiti intrecciata all’impetuosa crescita dell’astensionismo e al buco nero della partecipazione.
Il fenomeno dei “capibastone” dotati di sacche di consenso proprie, personali, che in relazioni alle diverse contingenze elettorali si presentano come partitici o civici, di destra o sinistra o di centro, è antico e noto. Mentre appartiene alla mera utopia l’idea di poter estirpare del tutto le distorsioni legate alla ricerca e alla gestione del potere.
Ciò che preoccupa è la mancanza di risposte e quasi l’impotenza dell’attuale classe politica di fronte a questo stato di cose. La prima risposta sarebbe dovuta venire dalla riforma e ristrutturazione dei partiti e dei movimenti politici, ma diverse generazioni di dirigenti vi hanno rinunciato per il timore di perdere le proprie rendite di posizione. Si è arrivati quasi per inerzia ad avere partiti debolissimi, inesistenti sui territori, in balìa e allo stesso tempo complici di notabili dagli “umori” (e dagli interessi) variabili.
Ma anche la risposta delle comunità, dei corpi intermedi, dell’associazionismo è stata debolissima, ai limiti dell’impercettibile. Prima si è consentito che di fronte alle degenerazioni milioni di cittadini trovassero sfogo in un populismo o in un sovranismo irrazionale e inconcludente. Poi ci si è definitivamente consegnati all’astensionismo, nell’illusione che sia un fenomeno passeggero e che entusiasmi partecipativi torneranno da sé, per miracolo, o magari attraverso l’ennesimo uomo o donna del destino.
Ma proprio l’astensionismo, incrociando il vuoto delle forze politiche, ha creato la trappola perfetta: ristretto all’osso il numero di elettori che si recano alle urne, si moltiplica il peso sulle sfide elettorali del voto clientelare, del consenso organizzato intorno a microinteressi di parte. Se l’astensionismo è la risposta o la protesta o il “segnale” di chi si pensa libero, il risultato è che a essere legittimato è il peggior modo di fare politica. Che diviene l’unico modo di fare politica. Mortificando anche gli sforzi generosi di chi, sempre più considerato una “mosca bianca”, prova a rilanciare l’istanza del bene comune e il valore della partecipazione.
L’alibi è di ferro, per tutti: i partiti che non hanno la forza di alzare un muro di fronte a chi incassa voti elargendo 30 euro o una busta della spesa, la politica che non riesce ad alzare un muro verso chi si sposta da una parte all’altra travestendosi di civismo… Ma le omissioni sul fronte della partecipazione attiva, consapevole e critica alla vita delle comunità, e sul fronte della partecipazione alla politica in senso lato e in senso stretto, non risparmiano nessuno.
Certo il problema ora, più che assegnare le “colpe”, è avere ben chiara la gravità delle conseguenze della situazione che si sta creando. Decadimento dopo decadimento, è il sentimento democratico ad affievolirsi, e il rischio è che diventi relativo, discutibile, marginale, superabile, soprattutto nelle nuove generazioni. Dovrebbe essere la semplice consapevolezza di questo rischio enorme a motivare risposte forti. E non solo dai partiti.