Coronavirus, la poesia. Guardaci
Guardaci
Siamo noi, guardaci,
rifugiati nelle case
a guardarci da lontano
salutarci dai video senza carne
né profumo di figlio, o padre,
né mano di madre
che stringe carezzando.
Siamo noi, guardaci,
in questa immobile battaglia
senza terra o corpo da combattere
davanti a un nemico fatto d’aria
che si mangia il tuo respiro
troppo piccolo per sparargli
infame divoratore di nonni
mai più tornati dall’ospedale
senza dargli nemmeno un addio.
Siamo noi, guardaci,
medici che fino a ieri
non potevamo sapere, no,
di quanta furia è capace
un virus quando esplode
di quanti se ne porta via
che non bastano a contarli
queste mani chiuse a preghiera,
ma nessuno è scappato, nessuno,
chi poteva immaginare
di quanta forza, quale coraggio,
si porta nel petto lei, l’infermiera
che non smette l’accoglienza
che da giorni non si ferma
e lavora pure mentre piange.
Sono io, guardami,
sono italiano,
un popolo di terre e colori,
fatto di paesi lanciati nell’azzurro
e d’artisti del sorriso
del buon vino da brindare
d’arte profusa per le strade
di primavera l’aria già impazzita.
Mio stivale, altare
di bellezza e d’amore
tornerai a correre per le strade,
nell’abbraccio d’uno sconosciuto
con la tua voce di canto
mi dirai che tutto è finito.