Nuova prova d'Europa. Più inflazione, più responsabilità
Lo spread d’inflazione tra Italia e Germania annuncia il ritorno dello spread sui tassi? Le novità di dicembre sull’inflazione in Germania e nell’Eurozona inducono a domandarci seriamente se non siamo arrivati a un punto di svolta dopo un lungo ciclo di deflazione e stagnazione. Dopo una serie di sorprese al ribasso (inflazione effettiva inferiore a quella prevista) questa volta la realtà ha infatti superato le aspettative in direzione opposta. Il dato più eclatante è sicuramente quello tedesco dove assistiamo in un mese a un balzo di un punto percentuale dallo 0,7 all’1,7%, valore che si avvicina di molto all’obiettivo fissato dallo statuto della Bce di un’inflazione ottimale che deve tendere a, ma non superare, il limite del 2%. Inferiore, ma nella stessa direzione, la crescita media dell’inflazione nell’Eurozona, dallo 0,6 all’1,1% tendenziale. Il dato Italiano segue, su livelli molto diversi, con un’impennata da territorio negativo al +0,5%.
L’era della deflazione-stagnazione è stata sino a oggi relativamente favorevole per i percettori di reddito fisso non indicizzato, per i possessori di attività finanziarie che vedevano non intaccato il valore reale della loro ricchezza anche se in un contesto di rendimenti non particolarmente elevati. Con il rovescio della medaglia per i debitori netti (come tutti i governi e in particolare lo Stato italiano) che hanno visto crescere e non diminuire il valore reale delle proprie passività. La difficoltà maggiore di gestione del debito pubblico è stata sinora per noi compensata dalla politica monetaria espansiva della Bce che con il programma di acquisto di titoli pubblici dei Paesi membri (quantitative easing) ha inondato il mercato di liquidità e tenuto bassi i tassi d’interesse, bloccando le tentazioni di speculazione. In questo contesto particolare la politica della Bce ha sinora fatto fatica a rilanciare l’attività economica e a portare il livello dei prezzi verso l’obiettivo del 2%. In deflazione, infatti, l’economia reale soffre perché i ricavi si riducono a parità di quantità vendute e i consumatori tendono a ritardare le loro decisioni d’acquisto sperando in ulteriori ribassi dei prezzi.
Se è vero che parte dell’effetto dei rialzi di ieri è dovuto alla crescita dei prezzi del petrolio (e dunque è decisamente inferiore se osserviamo il dato depurato dalla dinamica dei costi dell’energia), esso indica comunque la possibilità che ci stiamo avvicinando anche in Europa a un’epoca di reflazione che richiederà necessariamente una revisione delle politiche monetarie Bce. Sicuramente premeranno in tale direzione i risparmiatori tedeschi per i quali i tassi nominali molto bassi abbinati a livelli di inflazione in forte crescita significano ora e in futuro una perdita sensibile in valore reale della propria ricchezza.
In uno scenario siffatto gli spazi di manovra sul nostro debito pubblico potrebbero diventare più difficili. Se il disallineamento tra livelli d’inflazione in Germania e in Italia dovesse continuare, potrebbero aprirsi scenari per noi non favorevoli. Più specificamente lo spread tra inflazione tedesca e italiana spingerebbe Angela Merkel a usare tutto il suo peso politico per porre fine al quantitative easing, con un forte rischio di aumento dei tassi reali sul debito se da noi dovesse continuare la tendenza deflazionistica e l’effetto calmierante sui tassi nominali dovuto agli acquisti della Bce dovesse indebolirsi o cessare del tutto. La situazione sarà un nuovo test dell’indipendenza della Banca centrale europea e dalla sua autonomia da Berlino. La Bce agirà nell’interesse medio di tutti i Paesi dell’Eurozona o farà prevalere quello della sua economia leader, cioè della Germania?
Le inevitabili asimmetrie nei dati congiunturali degli Stati membri confermano una volta di più che la navigazione europea richiede comandanti esperti in grado di mediare tra le specificità degli interessi nazionali finendo inevitabilmente per accontentare solo in parte gli uni e gli altri. Proprio per questo motivo sempre più importante diventa e diventerà, anche per far fronte alle tentazioni populiste, rendere ragione dei vantaggi dell’unità e della cooperazione in modo semplice e percepibile all’opinione pubblica europea.