Il direttore risponde. Pietà e verità non sono revisioniste
Gentile direttore,
Savona, le sue cittadine e i suoi cittadini fornirono, durante la Resistenza il loro contributo di sacrifici e di sangue, contando martiri, deportati, famiglie spezzate dal dolore e dall’ingiustizia. L’invasione nazista, fiancheggiata dai fascisti repubblichini, rappresentò quasi la ferocia allo stato puro. Come sempre l’odio genera l’odio, e tutto ciò porta sempre con sé lunghe strisce di sangue che investono le nostre coscienze. Per questo motivo siamo rimasti stupiti e preoccupati nel leggere sulle colonne di un quotidiano come 'Avvenire', che consideriamo un punto di riferimento per le idee di pace e di fratellanza sociale, due articoli, apparsi nel corso del mese di marzo, dove si tratteggiano episodi post-resistenziali avvenuti nella Provincia e nella Città di Savona, identificando sulla base di quelle descrizioni tutto il movimento come un insieme di «assassini», termine con il quale sono identificati, senza mezzi termini, gli appartenenti all’Anpi, l’Associazione che oggi raccoglie i militanti del movimento partigiano e gli antifascisti delle successive generazioni.
Avvenire ha trattato deprecabili episodi, che certamente non intendiamo qui giustificare, avvenuti, fuori del comando del Cln, nel periodo del travagliato passaggio dal regime fascista all’Italia democratica e repubblicana, un periodo ancora avvelenato dalle tensioni e dagli odi suscitati dalle efferatezze compiute dai nazifascisti e dalle enormi sofferenze provocate dalla guerra. Non entriamo nel merito dei contenuti degli articoli: gli episodi che vi sono narrati sono già stati oggetto, nel corso del tempo, di ampia discussione e confutazione; laddove, è bene ricordarlo, la Magistratura rilevò elementi di carattere penale i responsabili individuati furono condannati e scontarono la loro pena. Ci interessa qui, respingere l’idea di una città cupa, dominata da un assurdo potere nascosto che reclama l’omertà per quei fatti.
Non intediamo affermare, semplicisticamente, che la narrazione della lotta partigiana debba essere intesa quale un’epopea portata avanti solamente da cavalieri senza macchia e senza paura e siamo ben consapevoli della complessità della debolezza umana, serve però una valutazione complessiva al riguardo, soprattutto, di una temperie così tremenda come quella di cui stiamo oggi scrivendo. Negli articoli ricordati aleggia lo spirito di una campagna di revisionismo storico e di denigrazione della Resistenza in atto da alcuni anni nel nostro Paese.
La Presidenza provinciale dell’Anpi - Savona
Nei miei due articoli del 7 e 9 marzo non ho affatto identificato in blocco il movimento resistenziale savonese come una banda di «assassini».
L’espressione è usata in una dichiarazione riferita ad «alcune persone» dell’Anpi e del Pci dal signor Savino Gallus, già militante comunista e da più di undici anni ricercatore e accusatore degli antichi compagni per una serie di episodi circostanziati (troppi) che, se minimizzati o rimossi, rischiano di disonorare il contributo innegabile di Savona alla Resistenza. Questo è stato registrato e di questo si è dato conto. Nessuno, oggi, avrebbe l’ardire di rivendicare con orgoglio quei fatti di sangue su cui non si sono fatti sufficientemente i conti; neppure ora, a voler essere chiari. E, sebbene la stessa Anpi savonese affermi di non voler neppure lontanamente giustificare quegli eventi efferati, essa rischia di fornire una lettura deviata sulle origini della violenza, ma anche di circoscriverne la portata e attenuarne le responsabilità. Nella letteracomunicato dell’Anpi si onora giustamente la memoria delle vittime del fascismo e del nazismo, «famiglie spezzate dal dolore e dall’ingiustizia», ma non si legge – e la cosa colpisce enormemente – una sola espressione di pietas verso le vittime degli omicidi compiuti dai partigiani comunisti. Il che rappresenta un’occasione sprecata.
Roberto Festorazzi
Aggiungo qualche riga alla replica di Roberto Festorazzi. Proprio per promuovere «idee di pace e di fratellanza», e per farlo nel solo modo giusto, cioè nella verità e nella giustizia, Avvenire dà conto anche di pagine dolorose (e a volte oscurate o rimosse) delle guerre e delle contrapposizioni violente che hanno insanguinato e insanguinano il mondo, l’Europa, la nostra Italia. Si tratta di un esercizio tutt’altro che revisionistico e denigratorio, che svolgiamo sempre e solo basandoci su fatti e documenti, mai su illazioni. Chi sostiene il contrario sembra più propenso a giudicarci che a leggerci. Soprattutto a leggerci con autentica attenzione e continuità. Se è così – e non può che essere così, altrimenti l’Anpi savonese non avrebbe osato agitarci contro le etichette del revisionismo e della denigrazione – farebbe bene a cambiare stile e pretese. Nella lettera-comunicato ci sono anche notazioni condivisibili e concetti alti, ma accanto a un palpabile imbarazzo e a evidenti reticenze
Devo dire, poi, che mi ha dato molto da pensare il fatto che in fondo a quel lungo testo (che abbiamo dovuto ridurre proprio per la sua estensione) ci sia stato spazio soltanto per una firma collettiva e anonima. Un caso raro e sorprendente. Tanto più per noi, che scriviamo a occhi aperti e a viso aperto. (mt)