Oltre l'economia. Pro-memoria per gli Stati generali dell’anima
È irresistibile ma ancora precoce la tentazione di chiudere i conti con il Covid- 19. Ha rallentato il ritmo nel nostro Paese ma viaggia e imperversa in altre parti del mondo. Ed esistono tutte le ragioni, osservando quel che è avvenuto, per parlare di un prima e un dopo pandemia, sulla impressionante scia degli altri titoli di testa della breve ma già intensissima cronaca del XXI secolo, vent’anni appena e sulle spalle l’11 settembre, la crisi finanziaria del 2008 e ora l’esplosione del coronavirus. Non è forse senza significato che questa intensità di accadimenti coincida con l’inizio di un millennio; come se la storia avesse voluto mettere le mani avanti e accettare, lei per prima, la sfida di un’accelerazione dei tempi nel naturale ciclo della produzione di eventi.
Ma non è solo la frequenza di ciò che avviene a dare il segno di una sorta di 'consumismo' che ha finito per intaccare la storia stessa. Ognuno a suo modo, i tre capitoli maggiori di questo primo scorcio di secolo hanno portato il marchio di una terribile evoluzione: il terrorismo delle Torri Gemelle – e il terrorismo in generale – come efferata prosecuzione di una guerra tradizionale sparsa nel mondo e puntata al cuore delle metropoli; la crisi del 2008, derivata dal perverso dominio della finanza del raggiro e del depredamento sull’economia reale, anch’essa non innocente ma tuttavia strutturata in funzione di un modello riconoscibile, quale indubbiamente è il capitalismo; ora il coronavirus, una catastrofe senza le macerie di pietra del terremoto e senza i paesaggi devastati dalla furia di altri elementi della natura, e comunque più di ogni altra simbolo della sorda ribellione di un pianeta maltrattato e saccheggiato.
Seppure solo davanti agli occhi, una catastrofe 'virtuale', e in sintonia con l’evoluzione del nuovo ordine globalizzato introdotto dalla rivoluzione digitale. Non si tratta semplicemente di un cambio di scena. La tipologia dell’aggressione contiene, neppure tanto nascosta, l’indicazione di una risposta. L’immagine più evocata è quella della rinascita dopo l’ultima guerra. Ci troviamo di fronte a un grande cantiere aperto. Ma non può entrare in quel cantiere solo un materiale di costruzione ordinario: il dispiego pur massiccio di fondi (e stavolta non è possibile parlare di latitanza dell’Europa), i progetti di riconversione delle grandi aree urbane, nuovi modelli di sviluppo e di assistenza, un sistema sanitario che non ponga di fronte a scelte inumane...
Tutto questo è convogliato, a livello italiano, negli Stati generali in pieno svolgimento e nelle intenzioni del governo diventati una sorta di Assemblea costituente socio-economica del dopo Covid-19. Mano a mano che si affolla di piani e di contributi , ma anche delle polemiche assenze politiche dell’opposizione, quel cantiere comincia ad accorgersi e a lamentare la mancanza di qualcos’altro o, forse, addirittura di un omologo: gli Stati generali dell’anima, che non sono un comparto del virtuale ma un complemento necessario a tenere meglio in piedi tutto, a dar forza alle idee, a restituire alla speranza.
Le premesse per questo cantiere di altro tipo sono state già poste. Lo ha fatto papa Francesco smascherando, durante la straordinaria preghiera nel vuoto e nel silenzio di piazza San Piero, la fake news più drammatica tra tutte: quella di poter «vivere da sani in un mondo malato». Una frase-caposaldo, con un rimando non difficile da cogliere a quel capitolo tutto nuovo aperto dal «Documento sulla Fratellanza universale» firmato ad Abu Dhabi dal Papa stesso e dal grande Imam di Al-Azhar il 4 febbraio 2019. Un atto solenne e già prefigurato come una guida per un mondo più giusto e solidale, che allarga il campo d’impegno a tutte «le persone che portano nel cuore la fede in Dio e la fede nella fratellanza umana». Questo tipo di materiale è già abbondante sul campo, e a sua volta rimanda all’impegno di una Chiesa che, senza attendere la pandemia, si era costituita come «ospedale da campo».
La straordinaria solidarietà messa in atto non può correre il rischio di diventare un edificante racconto di quel che è stato o, di qui a poco, addirittura ritrasformata in capo di imputazione come espressione di 'buonismo'. È materiale, infatti, da cantiere per il futuro, soprattutto dopo l’ulteriore passo avanti di considerare chi viene soccorso e aiutato non come uno sconosciuto ma come una 'parte di sé', in una dimensione di reciprocità senza la quale non c’è sostenibilità ma soltanto il crollo dell’impalcatura di tutto il cantiere. Ci servono questi altri Stati generali. Pensiamoci.