Il presidente del Veneto. Più autonomia per rompere lo schema delle due italie
Caro direttore,
l’attenzione che in questi giorni riservo più che mai a tutte le posizioni nei confronti dell’autonomia mi ha fatto leggere con grande interesse i vostri articoli e approfondimenti legati a quest’importante riforma. Nella sua risposta a due appassionate lettere su “Avvenire” del 7 febbraio scorso lei, molto opportunamente, rileva che il punto non è quello di impedire alle Regioni più efficienti di fare meglio nell’erogare più servizi pubblici, ma di impedire che questo avvenga a scapito dei cittadini che risiedono nei territori più deboli. Il presupposto delle polemiche sembra essere quello secondo il quale lo scopo delle Regioni che chiedono l’autonomia differenziata sia quello di appropriarsi di ulteriori risorse, che peraltro provengono dai loro territori, a scapito degli altri. Una posizione che ci viene spesso attribuita, ma che non abbiamo mai inteso perseguire.
La scommessa dell’autonomia, infatti, è quella di rendere più efficienti i servizi pubblici così da risparmiare risorse da poter reinvestire e garantire ai territori una maggiore crescita. Crescita che rifluirebbe a vantaggio della collettività, permettendo di dare strumenti e risposte a tutela non solo dell’economia, ma anche dei diritti civili e sociali dei cittadini; di tutti i cittadini italiani. Un’autonomia che lasci indietro qualcuno non è mai stata nelle aspirazioni di alcuno, men che meno nelle mie.
Ma, soprattutto, a fronte di questo rischio non sarebbe prevista dalla Costituzione; non solo nella riforma del Titolo Quinto del 2001, ma nello stesso testo voluto dai padri costituenti in vigore dal 1948. L’ho ribadito anche recentemente a Venezia, confrontandomi in un incontro col governatore campano De Luca, organizzato da Confindustria: Nord e Sud sono indivisibili, legati come due fratelli siamesi per i quali la morte o la vita dell’uno sono tali anche per l’altro. Avremo comunque un “minimo comune denominatore”: i Lep, le materie per cui è necessario determinare i livelli essenziali delle prestazioni. Saranno il faro dei servizi erogati sul territorio, definiti dallo Stato e applicati dalla Regioni. Nessuna competenza può essere trasferita prima della loro individuazione. Tra autonomia differenziata e determinazione dei Lep si è creato un nesso indissolubile che rende del tutto ingiustificati i timori di disgregazione che a ogni piè sospinto manifestano i sostenitori dello status quo. Mi consenta poi una breve osservazione a chi lamenta un’iniqua ripartizione delle risorse del Servizio sanitario nazionale.
Questo tipo di argomentazione mi stupisce sempre: si mette sotto attacco un meccanismo di ripartizione che è deciso dallo Stato, facendo intendere, ad esempio, che il trasferimento di alcune competenze in materia di sanità al Veneto peggiorerebbe la situazione in Campania. Perché questo dovrebbe accadere? Oggi assistiamo già a una realtà di un’Italia a due velocità: per restare in campo sanitario ci sono cittadini di alcune aree del Paese che sono costretti a fare le valige e affrontare un viaggio per potere godere di cure adeguate che non trovano a casa loro. In Veneto le prestazioni erogate – definite dai Lea, l’equivalente sanitario dei Lep – non solo sono migliori di tante altre parti del Paese, ma spesso costano meno alla finanze pubbliche. Nessun segreto: un risultato frutto di un’ossessiva attenzione alla qualità, ai bilanci, alla vicinanza concreta alle esigenze dei pazienti. Nelle discussioni sull’autonomia c’è sempre un grande assente. I problemi vengono ricondotti alla carenza di risorse, disegnandola come conseguenza di un’asserita iniqua distribuzione interterritoriale delle stesse.
Perché invece non mettere a processo la gigantesca questione di efficienza nella gestione della cosa pubblica? Mi sento di affermare che è invece il centralismo il “costruttore” di tanti disastri gestionali, che gli oppositori dell’autonomia non mancano di stigmatizzare. L’autonomia accorcia le distanze tra cittadino e potere decisionale e fornisce, quindi, l’occasione di valutare fino in fondo gli amministratori. Io sono fermamente convinto che la riforma del regionalismo differenziato si giochi anche, e soprattutto, su questo tavolo. Questo fa dell’autonomia una grande opportunità per tutti, una vera riforma in grado di portare il Paese fuori dalle secche del centralismo. Concludo questa lettera, direttore Tarquinio, con un moto di ottimismo: voglio immaginare il nostro Paese, fra alcuni anni, come attore consapevole e orgoglioso di un rinnovamento che parte dai territori: un moto identitario, ma in una visione d’insieme. Dove chi dimostra virtuosismo nell’amministrare sarà indicato come stimolo a cui tendere, in un cammino comune verso la crescita. Il succo dell’autonomia, per le Regioni, è questo: poter essere artefici del proprio successo… senza delegare ad altri le proprie sventure.
Presidente della Regione Veneto