WikiChiesa Q uella che sto per raccontare è una storia di dimissioni dalla Rete che mi ha colpito. Chissà che il condividerla non ci aiuti a capire, da fratelli nella fede (già una volta parlavo delle opere di misericordia digitale), che c’è modo e modo di stare sui social network, e che anche senza essere verbalmente violenti si può essere pesanti. Persino, senza volerlo, aggressivi. Al punto da spaventare uno che in vita sua si è ben poco spaventato. Sto parlando di Giovanni Savi (nome di fantasia), un cristiano coi fiocchi, amico di carne da una trentina d’anni e di Facebook da poche settimane, che lunedì scorso, con un post accoratissimo, ha annunciato a me e agli altri suoi 29 (!) «carissimi amici» che: a) ha «un cattivo rapporto con facebook» (scritto, volutamente immagino, con la minuscola); b) ha aperto il profilo solo perché ha ceduto ad alcune richieste di amicizia; c) dopo che ha a sua volta chiesto amicizia a persone a lui note, parenti e/o già amici, si è sentito «travolto» da una «valanga di richieste di amici e di amici degli amici»; d) si è «spaventato», decidendo di cancellare il suo profilo. Giovanni è uno che in vita sua non si è spaventato facilmente. È stato in Congo-Zaire in anni difficili; rientrato in Italia è saltato senza rete in un’altra vita; si è occupato di stranieri con amore di samaritano, in tempi in cui era difficile quanto oggi, e in più non era di moda. È una persona libera e giusta. Non posso credere che si sia davvero spaventato di Facebook. Credo invece che abbia provato profondo disagio dinanzi al rischio di dirsi 'amico' di qualcuno senza essere sicuro di poter stare all’altezza di questa impegnativa parola. Conclude le sue dimissioni con «Perdonate». Perdonaci tu, Giovanni, per ogni volta che non capiamo che ai profili corrispondono persone, e che ogni persona va rispettata nel suo modo di stare al mondo. Anche nel mondo di Facebook.
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