Editoriale. Perché siamo sui social (e perché il caso X ci interpella tutti)
Per mettere nella giusta luce l'ennesima tempesta scatenata da Elon Musk, padrone del social X (l'ex Twitter) e uomo più ricco del mondo, dobbiamo partire da una domanda. Che non riguarda tanto Musk ma ognuno di noi. E non tocca nemmeno il sacrosanto diritto di ognuno di decidere se restare o no iscritto al social X. La vera domanda è: perché siamo sui social? Perché siamo su X, Instagram, Facebook, Threads, Pinterest, Snapchat, BeReal, Mastodon o BlueSky, per fare qualche esempio?
Sappiamo tutti molto bene, e da tempo, che chi urla di più, chi fa il bullo e chi la spara più grossa ottiene più visibilità sui social. E ovviamente Musk lo sa molto bene. Ciò che ogni tanto scordiamo tutti è che i social ci spingono a dividerci in squadre, in bande, in fazioni. Ci spingono a indignarci, a reagire offendendo, a litigare e a non ascoltare più le ragioni degli altri. Ci spingono a una superficialità tossica. E le piattaforme lo fanno perché lo scontro fa "spettacolo" e le risse generano commenti, like e condivisioni. Ma soprattutto generano attenzione. E l'attenzione (il tempo speso da ognuno di noi in Rete) nel digitale vale oro. Ma noi, noi utenti dei social, dobbiamo avere altre priorità. Per questo è fondamentale tornare a interrogarci sulle ragioni che ci spingono ad abitare i social e sullo stile col quale li abitiamo. Mentre tanti in queste ore urlano, abbiamo bisogno di calma per riflettere e per rispondere con sincerità a queste domande. E per capire abbiamo bisogno di dati e non di urla.
Partiamo dai dati. La piattaforma di Musk, X (cioè l'ex Twitter), a livello mondiale si piazza dodicesima nella classifica dei social più usati. Per capirci: Facebook ha il sestuplo dei suoi iscritti e Instagram quasi il quadruplo. Certo, pochi giorni fa, X ha annunciato che «ha ospitato 942 milioni di conversazioni sulle elezioni americane» e l'ha definito «un record». Sarà, ma dal sito Statista, specializzato in numeri, sappiamo che a ottobre gli iscritti a X/Twitter nel mondo erano 415 milioni 300mila (di cui 106 milioni negli Stati Uniti), un numero molto al di sotto dei 619 milioni attribuiti alla piattaforma dallo studio We Are Social dello scorso gennaio. Se a ciò aggiungiamo che, sempre secondo We Are Social, «l'utente medio utilizza 6/7 piattaforme ogni mese», viene facile intuire che una larga parte degli utenti anche di X non è attivo, non solo tutti i giorni ma da tempo. Il che fa intuire che il record di X è stato ottenuto da un numero molto più piccolo di persone che però hanno generato un numero molto elevato di tweet a testa.
Direte: ma la questione è politica. Giusto. E la fuga da X è un segnale politico, tant'è vero che, in parte, è legata al dopo elezioni americane. Una parte degli ex utenti di X (molti dei quali risultano però ancora iscritti e quindi presenti) è migrato verso Threads di Meta e verso BlueSky. Quest'ultimo, è un social creato nel 2019 dall'ex fondatore di Twitter Jack Dorsey, come rivale della piattaforma acquistata da Musk. Già a settembre BlueSky aveva raggiunto i 9 milioni di iscritti e, due giorni fa, ha superato quota 15 milioni di utenti, un milione dei quali arrivati dopo l'elezione di Trump. Un segnale importante e che resta tale ma che nell'economia di X al momento pesa l'1,5%. Mentre la nuova carica di Musk nel prossimo governo Trump e il successo delle criptovalute sulle quali il magnate specula valgono molto di più. Ben diversa sarebbe la perdita (non ammessa da X) di quasi 200 milioni di utenti da quando Musk ha comprato Twitter che emerge dalla differenza dei dati tra gennaio e ottobre, pubblicati da We Are Social e Statista.
Comunque, giudicare Musk e chiunque si comporti come un bullo sui social (e non solo lì) è giusto e persino doveroso, ma lo è altrettanto farci le domande iniziali: perché siamo sui social? Cosa ci aspettiamo da queste piattaforme? E ancora: perché testate giornalistiche come il Guardian e La Vanguardia hanno deciso di interrompere il flusso delle loro notizie sui propri profili X in segno di protesta? Partiamo da quest'ultima domanda. Perché, di questi tempi, schierarsi fa bene alla credibilità dei giornali già schierati. Tanto più che la piattaforma di Musk non premia chi fa informazione. I contenuti dei giornali infatti da tempo vengono penalizzati dagli algoritmi di X e mostrati a porzioni infinitesimali anche dei follower dei quotidiani. Quindi, schierarsi fa bene soprattutto a chi è già schierato. Vale anche per i cantanti, gli attori e i vip. «Ho il diritto di manifestare la mia opinione» ha detto Musk dopo le prime critiche. Vero, verissimo. Ciò che però non sembra avere ancora compreso è che questa sacrosanta libertà va di pari passo con la responsabilità. Che deve crescere con l'aumento del proprio potere. Perché senza senso di responsabilità - e vale per chiunque di noi - stare sui social è come stare al bar a fare a gara a chi la spara più grossa, convinti che oggi vincere significhi seppellire l'avversario sotto macerie di parole e di urla. Forse vale in qualche bar, ma nella vita politica e sociale, appena gli schiamazzi social passano, è e resta una sonora sconfitta. Per tutti.