Il futuro dell’Ucraina. Perché dobbiamo uscire dalla logica bellicistica
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Il 24 agosto si sono compiuti i 30 mesi dall’invasione russa in Ucraina: due anni e mezzo di guerra, che devasta il Paese e rende la situazione internazionale pericolosamente instabile.
Dalle notizie che giungono dal fronte russo-ucraino sembra che non si riesca a trovare una via di uscita dal conflitto. Lo scenario bellico si complica: da una parte l’offensiva ucraina nella regione di Kursk, dall’altra la crescente pressione nel Donbass dell’esercito russo, che avanza costantemente. Missili e droni russi continuano a colpire massicciamente le infrastrutture energetiche e militari in tutta l’Ucraina, ma anche a provocare vittime e distruzioni nelle città. È stato di recente il caso di Kiev, presa di mira nelle ultime settimane. Droni ucraini raggiungono depositi di carburante o strutture militari in Russia. Gli spiragli che lasciavano intravedere qualche cantiere negoziale sembrano richiudersi. Mosca e Kiev negano la possibilità di trattative con la parte avversa. L’ipotesi di un ulteriore round della conferenza per la pace, promossa dal governo ucraino, con la partecipazione della Russia sembra rimessa nel cassetto. Il Washington Post ha riferito dell’interruzione di un processo negoziale riservato, mediato dal Qatar, sulla sospensione degli attacchi alle infrastrutture energetiche, sebbene la sua esistenza sia stata smentita dai due Paesi in guerra (ma non poteva essere diversamente). Nelle capitali europee, in sede Ue e Nato, a Washington, si discute di iniziative tese a rafforzare la capacità militare dell’Ucraina. Occorre registrare la frenesia bellicista di alcuni governi europei e dei vertici della Ue, mentre gli Stati Uniti procedono con maggiore prudenza. Si discute se e quanto scelte di maggiore impegno militare conducano a una escalation.
Ma si dimentica che nella guerra di per sé è insita una tendenza a intensificarsi e superare i limiti. Da tempo la retorica dominante nel discorso politico europeo a livello di Ue e di singoli Paesi è intrisa di bellicismo. E la retorica non è da sottovalutare perché rappresenta un’arma a scoppio ritardato che non di rado si rivela incontrollabile. Sembra che non ci siano altre parole e altre iniziative se non quelle che spingono alla intensificazione della guerra, mentre si conferma l’insensata equazione tra legittimo sostegno all’Ucraina e sorprendente – ma ahimè oramai non più tanto – rinuncia dei Paesi europei a ogni azione politico-diplomatica. In questo contesto è da notare la linea di moderazione seguita dal governo italiano, in particolare dai ministri degli Esteri e della Difesa.
Alcuni giorni fa, su queste colonne una lucida analisi di Giorgio Ferrari delineava il fondato scenario di «un conflitto definitivo che realisticamente potrebbe concludersi soltanto con la resa o la rinuncia di uno dei belligeranti». Scenario che si profila su una guerra che coinvolge una potenza nucleare e contempla un crescente coinvolgimento militare della Nato, al prezzo di grandi sofferenze della popolazione ucraina. Scenario da prendere in seria considerazione con inquietudine, ma non da ritenere ineluttabile.
In primo luogo, c’è bisogno di uscire dalla logica bellicista, che si picca di realismo, ma che è prigioniera di una gabbia di schematismi consequenziali e deterministi, che si sovrappongono alla realtà, con previsioni regolarmente smentite dal corso spesso imprevedibile della guerra. È necessario un recupero di buon senso e ragionevolezza. Occorre, cioè, guardare con realistica consapevolezza alla situazione di una guerra scellerata sempre più distruttiva e a rischio di entrare definitivamente in una spirale inarrestabile. La prima consapevolezza è che l’intensificazione (ed estensione) della guerra non è un vortice inesorabile. La storia non è mai predeterminata e le scelte delle donne e degli uomini possono modificare quelle che sembrano dinamiche irrefrenabili.
Nella guerra c’è spazio per l’iniziativa della società civile: per l’impegno umanitario, primo passo per la costruzione della pace, ma anche per una mobilitazione delle coscienze a favore della pace.
Nella guerra c’è spazio per la politica. Anzi, la riduzione della politica alla guerra è un’illusione, che conduce sovente a fallimenti. È della politica la responsabilità di non restare schiacciati dal presente bellico e di guardare al futuro. Durante la guerra si prepara il dopoguerra e quando non si fa si rischia di innescare processi devastanti (vedi Iraq). È tempo di pensare al futuro dell’Ucraina, come in parte già si è cominciato a fare. Ma c’è bisogno di iniziare a ragionare anche sull’architettura geopolitica del dopoguerra in Europa e su scala globale.
Prefigurare vie di uscita dalla guerra, anche per evitare costi umani e materiali enormi sempre più insostenibili dall’Ucraina, è una urgenza. Non è vero che quando sparano i cannoni si chiude ogni possibilità per l’azione diplomatica. In ogni guerra c’è stato un lavorio diplomatico alla ricerca di soluzioni. Nella guerra in Ucraina c’è spazio per la diplomazia, anzi forse è proprio questo il momento per l’iniziativa diplomatica. Consapevolezza realistica è abbandonare la insipiente alternativa: o guerra o diplomazia. Infatti, la diplomazia, se non serve a capirsi con i nemici, a che serve?
La via negoziale è tenuta aperta con pragmatismo dai militari, come attestano gli scambi di prigionieri, ma anche le conversazioni tra capi di Stato maggiore e ministri della Difesa di Russia e Stati Uniti. Le iniziative diplomatiche di Qatar ed Emirati Uniti, come anche della Turchia, hanno aperto canali di comunicazione tra Mosca e Kiev. Aprire canali di comunicazione, stabilire relazioni di fiducia è un investimento decisivo per poter immaginare percorsi di pace. In tale prospettiva anche l’iniziativa di diplomazia umanitaria della Santa Sede con la missione del cardinale Zuppi ha aperto uno di questi canali.
Questa guerra, come tutte, non è solo una partita che si gioca tra le due parti, ma è una vicenda di natura internazionale. Le prospettive di pace dipendono quindi anche dall’azione della comunità internazionale. Le iniziative in questo senso non sono di poco rilievo: una rinnovata attenzione cinese alla guerra russo-ucraina, le visite del premier indiano Modi a Mosca e a Kiev, mentre si attendono le elezioni del presidente degli Stati Uniti, sono segnali di una situazione in movimento, benché ancora incerto.
Insomma, l’attuale momento, sebbene possa non indurre a grande ottimismo, rivela la possibilità di iniziative diplomatiche di vario tipo e a vari livelli, che possono contribuire a configurare un percorso di pace, quantunque travagliato (ma potrebbe essere diverso?). È questo il tempo di audacia e creatività nell’iniziativa diplomatica a tutti i livelli. Per fare la pace bisogna darsi da fare e non crogiolarsi nell’irrilevanza o nella sterilità politico-diplomatica.