La riflessione. Io vado alla Buchmesse di Francoforte (e non per esibirmi)
Sarò alla Buchmesse di Francoforte con un sacco di scrittori italiani. È una occasione per un possibile colloquio tra culture e persone. La Fiera tra mancati o sbilenchi inviti viene usata per l'ennesima occasione di polemica. E io pure non son tipo che mi sottraggo alle polemiche se sono utili. Ma credo che i veri problemi non siano “io”. Il primo compito di uno scrittore è scrivere cose interessanti, e concentrarsi semmai sulle cose importanti nella cultura e società. Mi pare che i maggiori problemi culturali del nostro Paese continuino da tempo, chiunque sia al governo (scuola impazzita, educazione umanistica ma anche scientifica in crisi, calo dei lettori, editoria bulimica, tv di bassa qualità), quindi forse la responsabilità più che da ricercare nei governi... Non che siano incolpevoli, forse distratti, inetti o ininfluenti. Ma le cause vanno cercate anche altrove. Ad esempio nei meandri di burocrazie ideologizzate che condizionano pesantemente pratiche e fondi, e anche in una certa pigrizia intellettuale che preferisce attenersi a comode polemiche, con adeguato ritorno di visibilità e rendita di posizione, più che provare ad affondare il coltello dell’intelligenza libera nei problemi veri.
Non mi pare di vedere molti approfondimenti su possibili cambi dei paradigmi educativi, di leggere proposte culturali per la tv che non siano il narciso monologo di tizio o di sempronio, di seguire memorabili polemiche di scrittori su come funziona il (finto) mercato editoriale, su come ha funzionato finora la politica di sostegno alla lettura, evidentemente fallimentare. Eppure sono problemi evidenti, nessuno ne ha la soluzione in tasca ma vedo spesso gli scrittori distratti almeno quanto i politici, e forse con maggior colpa. E visto che spesso per attestare l'autorevolezza culturale di qualcuno si richiamano numeri di vendite, share e premi, sommessamente ricordo che il numero non è in sé un criterio di valore. Qualsiasi media pornostar italiana o calciatore di vaglia fanno spesso numeri più alti di uno scrittore “famoso”. E sui “premi” meglio tacere. Quindi volare bassi, esser umili come suggeriva il primo grande poeta italiano, Francesco d’Assisi, e confrontarsi di più coi problemi meno con lo specchio.
Ad esempio, sarebbe interessante (gli organizzatori ci han pensato?) fare una bella discussione tra scrittori su come persuadere un quindicenne di oggi a frequentare autori come Dante o Kafka e non solo quelli imposti da mercato e social media. Oppure discutere sul perché un algoritmo non comporrà mai un'opera d'arte. Lo pensano, gli scrittori? E sanno spiegare perché? Oppure discutere sul rapporto tra potere e lingua nel momento in cui assistiamo a interventi dall'alto di editoria e istituzioni su cosa è dicibile o meno. O su come non diventare macchine a cui ogni anno un grande editore chiede un libro. Il poeta Sereni, a lungo direttore editoriale della Mondadori, di suoi ne scrisse quattro in una vita. Si vedono autori sfornare ogni sei mesi libri su argomenti che meritano decenni di studio. Senza pudore, sono “marchi”, non persone. L’industria (che mai può essere “culturale”, perché ha scopi diversi) sta allargando i suoi confini. La “visibilità”, parente povera della “fama”, procura moneta. Ma, appunto, le lotte per la moneta sono molto più noiose (e inutili) di quelle per la verità o su problemi veri.
Vado a Francoforte. E spero sia un confronto su questioni serie. È la prima volta che mi invitano. Non ho mai fatto polemiche se per venticinque anni non m'hanno invitato o se all'Università di Bologna, dove vivo e ho fondato il Centro di poesia, mai mi invitano alla “giornata dello scrittore”. Mi hanno invitato in tanti festival di poesia in giro per il mondo. Mi dedico a problemi che non sono “io”.