Opinioni

Quegli spot non sono un «buondì». Una pubblicità sbagliata e la «sveglia» che ci serve

Massimiliano Padula* domenica 3 settembre 2017

Caro direttore, lo spot di una merendina diventa il caso mediatico del giorno. Al tempo del consumo esasperato, dell’informazione caotica e dell’abuso dei social network, può succedere anche questo. Si tratta della nuova campagna pubblicitaria del Buondì, la storica brioche della Motta divenuta protagonista di riflessioni, analisi, scontri e insulti come il manuale della comunicazione contemporanea, nostro malgrado, continua a insegnarci. Gli spot sono ormai noti. Nel primo, un asteroide disintegra la mamma davanti agli occhi della figlia nel momento della colazione. Nel secondo, è il padre a essere incenerito dal masso spaziale mentre la figlia è sballottata fuori dall’inquadratura e non si sa che fine faccia. Si attende il terzo, con (scontato) ulteriore colpo di scena.

È indubbio che la pubblicità non lascia indifferenti, così come è molteplice il relativo ventaglio di sguardi e interpretazioni. Soffermiamoci su alcuni giudizi reperiti in Rete. C’è chi dice che sia orrenda, demenziale, di cattivo gusto, macabra, non adatta al pubblico dei minori. Altri la ritengono geniale, surreale, innovativa, divertente. Poi ci sono i cinefili che rimandano ai Monty Pyton, al cinema di Mel Brooks o al nostrano Fantozzi. E ancora ci sono i gruppi di mamme 'tradizionaliste' che ne criticano la violenza esasperata. Appiattirsi sul gioco del bello o brutto, sparpagliare citazioni intellettuali o indignarsi senza criterio rischia però di trascurare gli evidenti elementi di ambiguità che ruotano intorno a questa campagna. Ne individuiamo almeno tre: anzitutto, la scelta di associare la rappresentazione di una morte violenta a un prodotto per bambini, significa destrutturare l’autenticità di una relazione (quella tra genitori e figli) che meriterebbe di essere valorizzata (anche usando l’ironia) e non presa in giro gratuitamente in nome dei moderni codici della creatività.

In secondo luogo, è inopportuna la scelta di affibbiare alla bambina il ruolo del personaggio saccente, antipatico, irriso dai genitori e di conseguenza dal pubblico. In ultimo, tutta questa rappresentazione non può essere ospitata in orari tradizionalmente legati alla fruizione familiare e dei più piccoli (spesso impreparati alla decodifica di significati di questo tipo), per lo più da un Servizio pubblico sempre più slegato da quelle azioni e scelte che la sua missione istituzionale gli imporrebbe di concretizzare. È evidente che tanto clamore sta promuovendo in modo esponenziale l’azienda e l’agenzia che hanno voluto e realizzato questo spot, entrambe spinte dalla certezza di un’emersione dall’anonimato facile e a buon mercato.

Ed è altrettanto chiaro che è pochissimo efficace il tentativo di rimettere a posto il disordine con riflessioni e critiche spesso scambiate per bigottismi di maniera o anatemi scontati. Partecipare al 'purché se ne parli' è sempre rischioso, ma in alcuni casi è importante farlo. A patto di alimentare il confronto con garbo e argomentazioni serie. Questa 'sveglia' serve a tutti. Soltanto così si potrà contribuire alla costruzione di una cittadinanza mediale (di cui tutti facciamo ormai parte) autentica e responsabile.

*Presidente Aiart