Oggi la Giornata nazionale. Perché l'imbarazzo sugli stati vegetativi
Caro direttore,
il 9 febbraio del 2009 morì Eluana Englaro e in questo giorno si celebra la «Giornata nazionale degli stati vegetativi» istituita dalla Presidenza del Consiglio. Sono passati dieci anni dall’avvio di un’iniziativa fortemente voluta dal Governo di allora, prima fra tutti la sottosegretaria Eugenia Roccella, e dalle associazioni nazionali (oltre trenta!) che in quella vicenda videro l’occasione per lanciarsi ancora di più, a testa bassa, nella tutela del diritto alla cura e dei diritti inalienabili delle persone con disordini di coscienza e con grave disabilità oltre che per il sostegno alle loro famiglie. Fu una stagione triste, drammatica e controversa, ma anche esaltante. Perché si costituì un seminario permanente presso il Ministero della Salute tra clinici e associazioni, perché si pubblicò il «Libro bianco sugli stati vegetativi» che ebbi l’onore di curare, perché si arrivò alle linee guida ratificate dalla Conferenza Stato- Regioni sugli stati vegetativi in quell’auspicato e indispensabile percorso coma to community.
Accanto alla vicenda di Beppino Englaro, padre di Eluana, e alla sua battaglia per la libertà di scelta, nelle nostre rivendicazioni facemmo emergere una condizione – quella degli stati vegetativi – di grave disabilità, concentrammo i riflettori sui bisogni delle famiglie che chiedevano di non essere abbandonate, di considerare per davvero quelle 'vite differenti', di dare loro un ruolo e, per dirla con il poeta Roberto Roversi, di poter «riprendere a tessere quel filo fragile del proprio destino».
A dieci anni dalla sua istituzione, la «Giornata nazionale degli stati vegetativi» viene ancora vissuta con imbarazzo. L’imbarazzo di quella morte in contrapposizione alla realtà di quelle vite: entrambe facce di una stessa medaglia. In realtà, se non contrapponiamo il diritto di cura alla libertà di scelta riusciamo a capire meglio il mondo della disabilità (e degli stati vegetativi, parte delle gravi cerebrolesioni), ancora faticosamente relegato ai margini del contesto sociale e delle sue regole.
Per questo, oggi più che mai, vale la pena di richiamare la politica ai suoi compiti e rivendicare il diritto alle cure, al sostegno per la ricerca, alla speranza che deve essere sempre alimentata perché ci si ricordi di noi, anche in quel Piano nazionale di ripresa e resilienza che rappresenta l’articolazione italiana del «Next Generation Eu» e che impone opzioni, progettazioni e investimenti per rilanciare gli stili di vita di tutti.
La pandemia indirettamente ha colpito anche noi. Lo ha fatto rendendo difficile, a parte poche isole felici, il rapporto tra i familiari e i propri cari. Ha tolto, spesso, al caregiver la possibilità di essere presente, di poter far sentire il suo affetto e i suoi stimoli, altrettanto riabilitativi e curanti. Ecco perché dobbiamo trovare nuovi strumenti per tornare alla normalità, combattere l’indifferenza e far capire all’opinione pubblica che in Italia queste persone noi non le abbandoniamo e non vogliamo che siano abbandonate. Ci vuole un progetto di rilancio istituzionale sul quale diamo la più ampia disponibilità.
La morte di Eluana ha dato riconoscibilità a una condizione che ancora oggi è fortemente vissuta, anche se non se ne parla. Ma, anche se non se ne parla, non vuol dire che non esista.
Direttore Centro studi per la ricerca sul coma «Gli amici di Luca» Casa dei Risvegli Luca De Nigris