Perché l'astensione non va più tenuta tra parentesi ed è fatto politico
Gentile direttore,
con riferimento alle recenti elezioni amministrative in Italia, mi sembra che i vari commentatori dei nostri media non sottolineino abbastanza il fenomeno dell’assenteismo in continua crescita e non mi riferisco ai referendum, ma alle elezioni politiche e amministrative. Alla luce di un’astensione del 50% degli elettori sarebbe importante mostrare i risultati dei vari partiti dimezzandone la percentuale. Inoltre, si dovrebbero fare ripetuti sondaggi nei riguardi dei non votanti, per cercare di comprenderne le motivazioni, oltre alle fasce di età.
Questo è il giornale che in titoli (a partire dalla prima pagina: «Non voto di sfiducia»), analisi e commenti (compreso il mio) ha dato più rilievo al dato dell’astensione su cui lei, gentile lettore, giustamente insiste. Detto questo, si sa: in democrazia pesa e decide chi partecipa. E quella fotografia che ogni elezione ci restituisce è reale: col metro di cui disponiamo, quella è l’altezza (i consensi) dei partiti e il crescente assenteismo non la taglia a metà. Eppure, la ferita è grave e aperta, e non prenderla sul serio, come lei invece invita a fare, rischia di farla infettare sempre più. Non si può continuare a dimenticare l’astensione – e ciò che dice e grida – sino al prossimo turno elettorale, scivolando sempre più lungo questa pessima china. Anche le inchieste demoscopiche possono essere utili per capire che cosa bolle in pancia al Paese e dove vanno la testa e il cuore di tanti sfiduciati e polemici con l’attuale offerta partitica, ma soprattutto servono luoghi (fisici e digitali, ma certamente fisici e mai solo digitali) dove la partecipazione politica possa realizzarsi concretamente prima – sottolineo: prima! – del voto. Penso, insomma, che il voto degli italiani per esserci e per essere solido e vasto non deve essere ancora ridotto di fatto alla sola scelta-delega in riferimento a un capo politico o a un parlamentare o a un sindaco, ma deve essere per tanti, se non proprio per tutti, il culmine di un’esperienza di partecipazione in cui valori, visioni, attese, interessi sono investiti e composti insieme. Questo, anche per me, è fare politica. L’astensione non è un dato umorale, è serio fatto politico.