Armi & energia. Perché è difficile che si verifichi un incidente nucleare in Ucraina
I reattori sono di fabbricazione russa, installati dalla Rosatom che ha commesse in Cina e India. Una nube radioattiva non è controllabile. Nella foto bombardamento russo alla centrale nucleare di Zaporizhzhia nel marzo 2022
Esiste un pericolo nucleare in Ucraina? Potenzialmente sì, anche se, per fortuna, si tratta di una possibilità piuttosto remota. Innanzitutto occorre distinguere tra una minaccia nucleare dovuta all’utilizzo di armi e quella, ancora più improbabile, di un disastro atomico causato da un incidente a uno o più dei quindici reattori presenti nelle centrali nucleari ucraine. Nel primo caso, a parte alcune dichiarazioni, più propagandistiche che reali, di diplomatici comunque lontani dal “nuclear football” e dai codici di attivazione, nessuno dei principali attori impegnati nel conflitto ha fatto chiaramente intendere di voler utilizzare la minaccia nucleare contro Paesi nemici. Come già accaduto nella penisola coreana, la minaccia nucleare viene sbandierata, più o meno velatamente, ogni qualvolta si raggiunge un livello di tensione tale da dover riadattare la politica interna ed esterna del Paese. Ma si tratta, appunto, di tattiche per lo più lontane dalle vere intenzioni belliche.
Nel secondo caso, la probabilità di un incidente con conseguente rilascio di radioattività sulla falsariga di quanto avvenuto a Chernobyl nel 1986, è assai più lontana di quanto si sia lasciato intendere nei dibattiti televisivi e negli articoli giornalistici. I motivi sono diversi dato che, oltre a toccare aspetti tecnici, logistici, riguardano anche questioni etiche, politiche ed economiche. Partendo da queste ultime, non bisogna dimenticare che tutti i reattori ucraini, i quali forniscono a oggi un’importante frazione di energia a uso civile e industriale alla nazione, sono di fabbricazione russa. I reattori Vver (Reattore energetico acqua-acqua), simili agli occidentali Pwr (Reattori ad acqua pressurizzata) sono realizzati e installati dall’agenzia atomica di Stato, la Rosatom, la quale ha commesse nel settore nucleare per 250 miliardi di dollari. Un qualsiasi tipo di incidente (voluto o no) in uno di questi reattori, oltre a rappresentare una pessima forma di pubblicità per l’industria russa, metterebbe a rischio le ordinazioni in essere e, soprattutto, quelle future.
Un eventuale incidente nucleare, inoltre, metterebbe a repentaglio la partnership che Mosca sta faticosamente cercando di mantenere con Pechino e Nuova Delhi, entrambe impegnate in una transizione energetica che assegna alla fissione un posto predominante accanto alle energie da fonti rinnovabili. In particolare Xi Jinping, che entro il 2060 prevede che il 20% dell’energia prodotta localmente sia di derivazione nucleare, vuole evitare una nuova sindrome Fukushima pari a quella che, nel 2011, dovette affrontare per fare fronte alle proteste popolari che si opponevano alla costruzione di nuove centrali (al momento la Cina ha in corso di realizzazione 16 nuovi reattori ed è la nazione più impegnata nello sviluppo di questa forma di fonte energetica al mondo).
Sino ad oggi, paradossalmente, il nucleare rappresenta la fonte di energia non fossile più 'sicura' anche in Ucraina: mentre la maggior parte degli impianti eolici e fotovoltaici sono oggi fuori uso perché distrutti o smantellati per essere trasferiti in Russia, la quantità di energia proveniente dalla fissione atomica è rimasta pressoché immutata. I reattori continuano a funzionare contribuendo in modo determinante a mantenere operative le attività private e industriali del Paese. E mentre danneggiare un impianto nucleare comporta rischi etici, politici e soprattutto scuote l’opinione pubblica internazionale, la distruzione di impianti che producono energia rinnovabile non destano particolare clamore. Non dimentichiamo, inoltre, che un eventuale fallout seguirebbe la volontà naturale delle correnti atmosferiche senza bisogno di presentare alcun visto o documento al passaggio delle frontiere, russa e bielorussa incluse.
Ma vi sono anche considerazioni tecniche che possono, se non annullare, per lo meno rilassare le apprensioni che circondano gli impianti nucleari. I reattori Vver sono assai differenti da quelli Rbmk che hanno causato il disastro di Chernobyl il 26 aprile 1986. In primo luogo il loro contenuto di combustibile nucleare è il 17% di quello presente nel reattore di Chernobyl, ma, cosa più importante, non hanno grafite, la cui combustione ha causato lo spargimento di notevoli quantità di radionuclidi nell’aria. Anche la battaglia avvenuta a Zaporizhzhia, che con sei reattori è la più grande centrale nucleare europea, non ha causato né danni sostanziali né pericoli ai reattori. Questi infatti sono protetti da due contenitori (primario e secondario) che hanno pareti in calcestruzzo rinforzato spesse un metro e mezzo, mentre il reattore vero e proprio (il vessel) è una corazza d’acciaio spessa 19 centimetri. Produrre un danno irreparabile a un reattore, oltre che dispendioso dal punto di vista finanziario, richiede una precisa determinazione logistica, organizzativa e militare. Non basta “sparare” un missile sull’unità che contiene il reattore, ma la traiettoria deve essere attentamente calibrata affinché si colpisca un preciso punto debole, ammesso che si riesca a capire se esista, e dove sia collocato, questo punto debole.
Molto più funzionale e vantaggioso per chi volesse mettere nel mirino una centrale sarebbe invece riproporre una sorta di Fukushima II, causare cioè un black-out energetico totale e duraturo così da eliminare ogni forma di raffreddamento del reattore che, grazie al calore di decadimento, potrebbe raggiungere la fusione proprio come avvenuto in Giappone l’11 marzo 2011. Ma in quel caso la serie concomitante di cause che hanno creato l’emergenza, hanno prodotto inrealtà un “incidente perfetto” difficilmente ripetibile in Ucraina. A Fukushima, la serie di tsunami, oltre a distruggere i generatori di emergenza e i circuiti elettrici, ha devastato completamente un’area di 1.600 kmq isolando completamente la centrale da qualsiasi tentativo di soccorso: una situazione decisamente più critica di quella, seppur in tempo di guerra, esistente in Ucraina.
Lo ha dimostrato chiaramente il blackout di Chernobyl quando, di fronte alla mancanza di energia elettrica c’era chi aveva paventato la fusione delle barre di combustibile esausto contenute nella piscina di stoccaggio o addirittura del reattore numero 4 scoppiato nel 1986. Il reattore, naturalmente, non è più raffreddato da alcunché, visto che il corium non presenta pericolo di fusione, mentre pure l’Iaea aveva rassicurato affermando che anche in caso di totale mancanza di ricambio d’acqua nella piscina (in realtà a Chernobyl, a differenza di Fukushima, i generatori di emergenza continuano a funzionare), non vi era alcun pericolo di rilascio radioattivo.
Lo stesso infondato allarmismo si è ripetuto nel caso della notizia dei soldati russi affetti da Sar (Sindrome di radiazione acuta) divulgata dalle agenzie governative ucraine e ripresa, senza controllarne la veridicità, da numerose redazioni giornalistiche. La zona più contaminata, rappresentata dalla Foresta Rossa, ha una radioattività di 350 mSv/ anno. Alta, ma non tale da creare una Sar, tanto più che, la stessa Energoatom, l’agenzia atomica ucraina, dopo il ritiro dei russi, ha verificato che nelle zone in cui l’Armata di Mosca aveva scavato le famose “trincee” (in realtà spianamenti per depositi di materiale), la radioattività misurata era dieci volte inferiore a quella temuta.