Opinioni

Il discorso. Per un "debito di futuro": il programma generazionale di Mario Draghi

Francesco Riccardi giovedì 18 febbraio 2021

Non ha parlato di miliardi di euro, Mario Draghi, ieri in Senato. Perché, assai prima di quello monetario, oggi il vero debito da onorare è tra le generazioni. La responsabilità del presente è saper unire e governare competenze, energie e risorse per garantire una società e un pianeta migliore a chi oggi è più piccolo o ancora deve venire al mondo. È questo "debito di futuro" che il premier ha messo al centro del suo programma di governo, chiedendo la fiducia al Parlamento. Un debito che è insieme sociale, ecologico, umano.

Può sembrare un paradosso per un governo dell’emergenza, com’è questo, preoccuparsi del futuro anziché di uno stringente presente. Se però si legge in filigrana il discorso del presidente del Consiglio, la vera urgenza indicata è proprio quella di unire l’azione immediata con le riforme di lungo periodo, progettando – ora – per i decenni a venire. È lo spirito di chi è grato dei sacrifici compiuti dalla generazione che ha preceduto lui (e noi, baby-boomer) e sente il dovere di far fruttare quell’eredità, per consegnarla moltiplicata ai ragazzi di oggi e di domani. Senza che neppure uno di quei talenti resti sottoterra o vada disperso perché «ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti». Così se l’urgenza immediata è il piano vaccinale da riorganizzare coinvolgendo tutti e l’avvio della riforma sanitaria in senso territoriale, la sollecitudine parallela è l’innalzamento del capitale umano. È la scuola: per far recuperare agli studenti ciò che hanno perso in termini di preparazione e crescita umana in questo anno di pandemia. Progettare nuovi percorsi che attraverso l’istruzione e la formazione – umanistica, scientifica e quella tecnica con pari valore – garantiscano alle giovani generazioni le competenze necessarie per costruire da protagonisti il loro futuro anziché subirlo.

Domani, quando usciremo dalla pandemia, «non sarà semplicemente un riaccendere la luce» dopo un blackout temporaneo, ma un faticoso ricominciamento, un necessario ripensamento di stili di vita e modelli di sviluppo. In ogni campo: dalla produzione di energia fino al turismo, con l’obiettivo di affrontare realmente i problemi drammatici del cambiamento climatico, dell’inquinamento e del dissesto idrogeologico. «Vogliamo lasciare un buon pianeta, non solo una buona moneta», sintetizza il presidente del Consiglio dopo aver citato i moniti di papa Francesco sulla difesa della Terra «opera del Signore». Quello del rispetto dell’ambiente, della transizione ecologica è infatti l’altro filo rosso, anzi verde, che percorre la trama di tutto l’intervento del premier. E che lega insieme i nodi dello sviluppo e della povertà in crescita testimoniata dai dati Caritas (citati e meditati dal premier), dell’enorme disoccupazione potenziale e della difesa selettiva delle imprese, agevolando le ristrutturazioni, favorendo la ricollocazione dei lavoratori. Assieme alla valorizzazione della presenza femminile in tutti i campi, del lavoro e della rappresentanza, azzerando i gap, favorendo la conciliazione con la cura familiare, il più ampio sviluppo delle potenzialità. Ben oltre «la farisaica osservanza delle leggi sulle quote rosa». Frase che non è piaciuta a tutte e a tutti, ma che riassume il cuore di una questione di equità, molto più di un’aritmetica uguaglianza.

Nella visione del presidente del Consiglio, l’impegno dell’oggi sarà tanto più proficuo quanto meno sarà schiacciato sulla contingenza del presente e invece proiettato sul futuro con una visione d’insieme. E così sul fisco, ad esempio, inutile e dannoso pensare a interventi a pezzi, facile preda di interessi corporativi. Meglio un progetto complessivo di una commissione di esperti che ridisegni il sistema, a partire dall’Irpef.

Con due obiettivi dichiarati – «mantenere la progressività e ridurre il carico» – e un terzo che noi speriamo sottinteso: una maggiore equità per le famiglie con figli. Perché, assieme all’urgenza della difesa del Pianeta, c’è quella non meno impellente di invertire il drammatico calo demografico nel quale siamo precipitati. Un preoccupante deficit di futuro.

Lo stile di Mario Draghi è stato sobrio, asciutto, a tratti persino monotono, tranne quando ha parlato di «senso di responsabilità delle forze politiche», di «spirito repubblicano». Di questo che viene definito con semplicità «il governo del Paese», che «per far bene» ha bisogno del «sostegno convinto del Parlamento». Perché «oggi, l’unità non è un’opzione, l’unità è un dovere». Dovere guidato «dall’amore per l’Italia»: il massimo sentimento sovranista, espresso dal premier «irreversibilmente» europeista e sovranazionalista («non c’è sovranità nella solitudine»).

Questo governo – che non è di nessuna forza politica in particolare e insieme lo è della quasi totalità rappresentata in Parlamento – può essere il garante che onora il «debito di futuro» verso le nuove generazioni. Solo, però, se sarà capace di mantenere lo sguardo fisso sui ragazzi di domani, al di là delle convenienze di ogni partito. Una prova d’amore per l’Italia e gli italiani.