Caro direttore, dopo il tempo dell’indifferenza e dell’egoismo, qualcosa si muove in Europa sulla questione dei rifugiati. La speranza è che ora si trovi la strada sia per una risposta all’emergenza sia per un politica comune di medio periodo, per risalire alle cause di una realtà che, finalmente molti lo capiscono, non finirà con la 'bella stagione' del mare calmo. Basta con lo scaricabarile delle responsabilità, con le accuse tra gli Stati membri, l’insensibilità e la paura: è evidente che un fenomeno storico non può essere gestito solo nelle capitali nazionali e, mentre si apre la sessione plenaria, il dibattito torna lì dove era cominciato e dove avrebbe dovuto continuare tutti questi giorni: nell’aula di Strasburgo del Parlamento europeo. Qui siedono i rappresentanti dei popoli europei che sentono più da vicino la voce e le aspettative dei cittadini, le loro idealità e la loro umanità e non solo la loro paura. Purtroppo nell’invocazione generale di «più Europa» o di «un’Europa protagonista» sul dramma dei rifugiati, il 'grande ignorato' è stato proprio il Parlamento europeo che, in realtà, è l’unico luogo dove la volontà dei cittadini europei si esprime direttamente, senza essere ingabbiata dagli steccati nazionali. Anche se ignorati dai media, da Strasburgo noi eurodeputati abbiamo sostenuto più volte, e da tempo, che la questione delle migrazioni deve essere affrontata tutti insieme e deve essere vista come una delle grandi sfide non solo dell’Europa, ma di un assetto planetario più equo, in cui ci sia una diversa distribuzione delle ricchezze e delle opportunità. Potremmo fare una lunga serie di riferimenti a nostre risoluzioni approvate a larga maggioranza, conquistando anche il consenso di europarlamentari del Nord, del Sud e anche dei Paesi dell’Est (compresi quelli che oggi fanno maggiore resistenza). Da tempo abbiamo chiesto «un approccio globale della Ue alle migrazioni, una equa ripartizione delle responsabilità, la solidarietà nei confronti degli Stati membri che accolgono il maggior numero di rifugiati e richiedenti asilo in termini assoluti o relativi» e «nuovi canali di migrazione legale», per dare poi fondamento ai rimpatri, ma anche una nuova politica di cooperazione e di pacificazione in Africa e nel Medio Oriente. Le richieste delle nostre risoluzioni sono state ignorate dagli Stati membri, sino alla primavera di quest’anno e alle tragedie, ai morti, davanti ai quali le commosse commemorazioni si sono sprecate, ma non hanno prodotto sforzi sufficienti. Qualcosa è cambiato solo dopo il vertice Ue straordinario del 23 aprile sull’immigrazione, chiesto e ottenuto da Matteo Renzi, e con il piano di azione del giugno di questo anno. La nostra mobilitazione parlamentare è continuata anche con gesti simbolici:
«Io sono un migrante» è stato il nostro slogan e una mostra a Strasburgo degli oggetti ritrovati in mare o sui barconi ha tentato di dare un’idea della persone morte, non potendo neanche risalire alla loro identità. Per fortuna il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, che è da sempre un europeista convinto e crede alla solidarietà è stato un nostro alleato. Fin dall’inizio ha riconosciuto il giusto ruolo al Parlamento europeo, annunciando a Strasburgo le proposte più importanti del suo mandato. Domani, mercoledì, Juncker coglierà l’occasione del suo discorso sullo Stato dell’Unione davanti alla plenaria per annunciare le nuove proposte della Commissione sull’immigrazione. Ma soprattutto, e questa sarà una grande novità, nella nuova politica Ue su rifugiati e immigrazione il Parlamento europeo avrà un
importante ruolo di co-decisione, come per le altre materie comunitarie. Secondo le prime bozze della proposta Juncker è stata accolta la nostra richiesta di prendere parte al processo decisionale per arrivare a stabilire il meccanismo permanente di ricollocazione e distribuzione dei richiedenti asilo, per un intervento dei emergenza di sostegno per Italia, Grecia e Ungheria, nonché per l’indicazione dei Paesi sicuri dove è possibile rimpatriare gli immigrati che non hanno diritto alla protezione internazionale. È questa la strada giusta per costruire una politica veramente europea su un tema che ha già creato troppe fratture nel Continente e ne sta creando di preoccupanti tra Europa dell’ovest ed Europa dell’est, e che va a intaccare la stessa anima del progetto europeo. Da parte nostra nel Gruppo dei Socialisti e Democratici stiamo lavorando per convincere i nostri colleghi dei Paesi dell’Est a non ascoltare le sirene del populismo, e a difendere quei valori grazie ai quali si è allargata l’Europa stessa.
*Capogruppo Socialisti & Democratici al Parlamento Europeo **Capodelegazione Pd al Parlamento Europeo