Scenari. Per Rutte alla guida della Nato la vera insidia arriva dal voto negli Usa
I più maliziosi non si sono fatti sfuggire quel 2,05 per cento raggiunto dall’Olanda nel 2024, dopo anni in cui la spesa per la difesa del Paese era rimasto rigorosamente sotto la soglia fatidica del 2%. Un “guizzo” di Mark Rutte il “pragmatico”. Il più longevo premier della storia olandese, 14 anni alla guida dei Paesi Bassi, è il nuovo Segretario generale della Nato.
L’insediamento di Rutte è previsto per il primo di ottobre, quando il suo predecessore, il norvegese Jens Stoltenberg, lascerà incarico e poltrona dopo un decennio. «È un grande onore essere nominato Segretario generale della Nato. L'Alleanza è e rimarrà la pietra angolare della nostra sicurezza collettiva. Guidare questa organizzazione è una responsabilità che non prendo alla leggera. Sono grato a tutti gli alleati per aver riposto la loro fiducia in me. Sono ansioso di assumere l'incarico con grande vigore», ha scritto su X il neo eletto. Rutte, forte del sostegno di Usa e Gran Bretagna, ha avuto buon gioco, con un fitto lavoro diplomatico, nel convincere i 31 leader. L’unico casella vuota era quella del primo ministro ungherese, Viktor Orbán, che ha capitolato lo scorso il 18 giugno, sbloccando così, come ha scritto Politico, la nomina di Rutte.
Accolto da manifestazioni di giubilo da parte del presidente ucraino Voldymyr Zelensky – che lo ha definito «un leader forte e rispettoso dei principi» che «ha dimostrato la sua risolutezza e visione in molte occasioni negli ultimi anni» – il neo segretario, 57 anni, secondo il giudizio unanime degli analisti, non devierà dalla linea politica già tracciata dal suo predecessore, ossia di un forte, roccioso, sostegno all’Ucraina. Non a caso, Stoltenberg la ha elogiato: «Mark – ha detto– è un vero transatlanticista, un leader forte e un costruttore di consenso. So che lascerò la Nato in buone mani».
C’è, però, un’incognita che grava sul cammino di Rutte e che si scioglierà solo dopo il voto Usa. Un’eventuale vittoria alle prossime elezioni presidenziali di Donald Trump quali ricaduta avrà sulla tenuta dell’Alleanza Atlantica e, di conseguenza, sulla guerra in Ucraina? Il ventaglio di minacce all’indirizzo della Nato, lanciate negli anni dal tycoon, vanno dall’uscita di Washington dall’Alleanza a una contrazione dei finanziamenti. Non solo: come scrive "Le Monde", «durante la campagna elettorale l'instabile ex star dei reality ha scosso gli alleati atlantici dicendo che incoraggerebbe Mosca ad attaccare i Paesi che non spendono abbastanza per la difesa».
Rutte ha dalla sua, oltre a un ottimo rapporto con Joe Biden, anche la capacità, riconosciutagli da più parti, di saper trattare con l’intrattabile Trump. Al vertice della Nato del 2018, Rutte si è impegnato con successo con il tycoon per allentare le tensioni sulla spesa per la difesa, dimostrando la sua capacità di gestire lo stile imprevedibile dell’ex presidente Usa. D’altronde, come scrive il sito The Conversation, «la capacità pragmatica del premier olandese di costruire e mantenere coalizioni in un panorama politicamente frammentato è spesso considerata un segno distintivo della sua leadership».
Altro terreno minato è quello orientale. Perché non sfugge agli osservatori che la vera “partita” della Nato è quella che si gioca con (o contro) Pechino. Non a caso la Cina ha più volte manifestato insofferenza per il protagonismo della Nato, per il ruolo e la verbosità con cui Stoltenberg ha interpretato il suo ruolo alla guida dell'Alleanza. L’ultimo episodio è “freschissimo”.
«L’Occidente deve far pagare alla Cina l’aiuto alla Russia nella sua aggressione contro l’Ucraina», ha sibilato Stoltenberg, parlando al Wilson Center di Washington prima di un incontro con Biden lo scorso 17 giugno. Pechino ha replicato invitando la Nato a «smettere di scaricare la colpa» ad altri sulla guerra in Ucraina. Infine il neo eletto dovrà fare i conti con il fronte dei riottosi: l’ascesa dei movimenti nazionalisti e populisti negli Stati membri della Nato. Se la designazione di Rutte è stata accompagnata da un coro di approvazione da parte dei Paesi membri, tutt’altra musica è risuonata, come era prevedibile, invece da Mosca. Per il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov «è improbabile che questa scelta possa cambiare qualcosa nella linea generale della Nato. Al momento, questa è un'alleanza che per noi è un nemico».