Il 25 novembre delle donne. Contro tutte le violenze, per non svilire il giusto grido
Una manifestazione oceanica, davvero, quella di sabato a Roma contro la violenza di genere. Non era mai accaduto prima, in otto anni di “convocazione”, che il movimento “Non una di meno” raccogliesse mezzo milione di persone. Però c’è qualcosa che non torna, e quel qualcosa fa male alla battaglia contro la violenza sulle donne. L’abbiamo visto tutti: a Roma e a Padova, la città dove viveva e studiava Giulia Cecchettin, ultima vittima della follia femminicida, così come a Milano, la piazza non si esauriva (al contrario!) nelle militanti “transfemministe”. Più ancora, c’erano adolescenti e ragazze comuni, donne mature e perfino bambine, Chiara Ferragni fianco a fianco ad anonime liceali, Paola Cortellesi accanto a signore ultraottantenni. E insieme a loro gli uomini, tanti uomini. Opportunamente la presenza maschile è stata sottolineata come la vera novità di questo 25 novembre, una sorta di #metoo a parti rovesciate, per dire: anche noi vogliamo disinnescare la “cultura dello stupro”, anche noi difendiamo la pari dignità e la pari libertà di tutti.
Ma torniamo al punto nodale, la manifestazione di Roma: quanti di coloro che hanno sfilato avevano davvero letto la piattaforma di “Non una di meno”? Quanti avevano notato che in essa non c’è una sola desinenza al femminile (e si parla di violenza alle donne!), ma solo il/la neutro/a schwa? Quanti avevano notato che nel manifesto programmatico si contesta l’obiezione di coscienza per i medici riguardo all’interruzione di gravidanza? Quanti avevano letto che ci si schierava a fianco del popolo palestinese senza «margini di ambiguità in questa storia di colonialismo, razzismo e violenza», senza citare, se non al fotofinish, gli stupri di massa compiuti da Hamas nell’attacco del 7 ottobre? Due pesi e due misure che hanno indotto parte del mondo politico a disertare, dai Cinque Stelle a Italia Viva, fino ad Azione, che pure ha organizzato manifestazioni in 19 città e a Roma era presente con gruppi di giovani accompagnati da Mara Carfagna. Il Pd c’era, con Elly Schlein, e c’era la Cgil con Maurizio Landini. E decine di altre sigle, associazioni, forse inconsapevoli o forse superficialmente informate.
Con questo non si vuole sminuire una partecipazione finalmente corale contro la violenza di genere, per tanti versi sorprendente, ma al contrario, suggerire che a Padova come a Milano, a Roma come a Messina, la “convocazione” più autentica non è stata – o non solo – la piattaforma transfemminista che tiene insieme le istanze di un elenco lunghissimo di soggetti di cui le donne sono solo una voce (persone Lgbtq, “sex workers”, detenuti, immigrati…), bensì, crediamo, l’enorme emozione suscitata dalla morte di Giulia Cecchettin e dalle esortazioni appassionate della sua straordinaria famiglia, la sorella Elena e il padre Gino.
Ora ci chiediamo: cosa serve di più alla causa della battaglia integralmente femminista (cioè dalla parte delle donne) contro la violenza? Sicuramente le richieste – anche urlate, anche rivendicate con forza – al governo e in generale alle istituzioni perché proteggano in modo più efficace le donne sono legittime. Non altrettanto la distinzione ideologica tra chi è vittima e chi lo sarebbe un po’ meno, come nel caso delle donne israeliane e palestinesi. Non la stessa violenza (in una manifestazione antiviolenza!) esercitata nei confronti di un presunto nemico come è accaduto nell’assurdo attacco alla sede romana di Pro Vita, peraltro condannato solo tiepidamente da alcuni esponenti del Pd, e non dai suoi vertici.
Per concludere, la politica - maggioranza e opposizione - dopo le manifestazioni del 25 novembre, ha una enorme responsabilità. Anzitutto raccogliere la crescente sensibilità maturata nel Paese e valorizzare l’inedita mobilitazione maschile.
Ma ancora più cruciale è superare le strumentalizzazioni, da una parte e dall’altra, da sinistra e da destra, e ritrovarsi in una battaglia comune, senza offrire alibi a chi la violenza la esercita né a chi sorvola semplicisticamente sulle sue radici culturali. Utopia? Forse, ma è già successo, con la votazione del disegno di legge per l’inasprimento delle pene, la settimana scorsa in Parlamento. La battaglia contro la violenza alle donne può proseguire da alcuni punti fermi e condivisi: ad esempio da maggiori risorse per la formazione e la specializzazione degli operatori e per i centri antiviolenza. Si può partire da qui, i partiti tutti insieme, e sarebbe già una risposta concreta alla miriade di uomini e donne che sabato sono scesi in piazza. Per Giulia e per tutte.