Coronavirus. Per non dover richiudere serve dare aria alla scuola
La decisione del Governo di chiudere le discoteche fino al 31 gennaio è stata dolorosa per gli imprenditori e i molti addetti del settore, e anche per tanti ragazzi che avrebbero gradito un po’ di svago durante queste feste. Ma, a fronte dell’incremento esponenziale dei contagi, il Paese l’ha certamente compresa. Sarebbe invece più difficilmente comprensibile un’ipotesi che si è affacciata da più parti in questi ultimi giorni, cioè quella di rimandare la riapertura delle scuole dopo le vacanze natalizie, che da calendario scolastico termineranno il 9 gennaio.
Dico che si capirebbe meno una scelta di tal genere, perché in questi due anni di pandemia, e di chiusure e riaperture a singhiozzo degli istituti scolastici, una cosa l’abbiamo compresa: quanto poco funzioni la Dad (didattica a distanza). Non parlo soltanto della dimensione della socializzazione, che naturalmente viene meno con le lezioni da remoto, ma proprio del profitto, come dimostrano i risultati delle ultime rilevazioni dell’Invalsi. E non si pensi che il problema sia legato alla presunta immaturità degli studenti delle scuole.
Esso riguarda anche l’università. Qui il primo semestre si è svolto, in quasi tutti gli atenei, con lezioni in forma mista (tecnicamente detta blended): lo studente poteva scegliere se seguire i corsi in presenza, cioè in aula, o a distanza, collegandosi da casa tramite il proprio computer. Ma non è un caso che la grande maggioranza dei ragazzi abbia scelto di essere in presenza. Vorrei però chiarire di non essere un oltranzista della scuola in presenza a tutti i costi.
Nel 2020 e all’inizio del 2021, quando il Covid-19 imperversava e una vaccinazione di massa contro questo virus non era ancora stata effettuata, da uomo di scuola ho personalmente ritenuto saggia una certa prudenza in tal senso, a protezione della salute di docenti, ragazzi e lavoratori del pianeta Istruzione.
Ma ora siamo in tutt’altra, seppure non facile, situazione. Il ricorso alla Dad dovrebbe essere davvero l’extrema ratio. Credo che i due Governi – quelli di Giuseppe Conte e di Mario Draghi – che si sono trovati ad affrontare una situazione nuova, inattesa, imprevedibile (soprattutto per il primo) come questa pandemia abbiano fatto tutto sommato bene. Per esempio hanno avuto il coraggio di prendere decisioni difficili e impopolari, tutte le volte che lo si è ritenuto necessario. Ma se ciò va loro riconosciuto, ritengo anche doveroso – per chi fa informazione – rilevare le criticità esistenti e additare ciò che non va.
Parliamo nello specifico della scuola. All’inizio di questo anno scolastico si è dismessa troppo frettolosamente, forse con eccessivo ottimismo rispetto all’evoluzione dell’epidemia, la regola del distanziamento fisico tra i ragazzi. Troppo poco (possiamo dirlo? quasi niente...) si è fatto in tema di trasporto pubblico, e sappiamo quanto ciò impatti sui ragazzi che si recano a scuola. Praticamente nulla è stato fatto per quanto riguarda il ricambio e la sanificazione dell’aria negli edifici scolastici, pochissimi dei quali sono dotati di impianti di ventilazione meccanica controllata.
Sappiamo però – lo ha spiegato più volte, anche su queste colonne, un autorevole esperto come il professor Walter Ricciardi – quanto l’aerosol possa essere veicolo di contagio. Il tema della purificazione dell’aria è stato inizialmente sottovalutato, ma di recente è stata la stessa Oms (Organizzazione mondiale della sanità) a raccomandare di agire in tal senso, in quanto ciò potrebbe giocare un ruolo fondamentale nella battaglia contro il Covid.
A scuola, invece, per ora si è spinto di fatto quasi soltanto sulla vaccinazione del personale: il che non basta, perché la scuola non è un normale 'ufficio pubblico', bensì una comunità, in cui lavoratori e utenti sono a stretto contatto per molte ore al giorno. Ci si muova dunque nelle direzioni più opportune, si agisca in fretta, si investano le risorse necessarie, si faccia di tutto, ma per favore non chiudiamo di nuovo le scuole. Sarebbe una sofferenza troppo grande per i ragazzi, per la qualità dell’insegnamento, per il futuro del nostro Paese.