Gli impegni assunti dall’imam di Al Azhar. Per l’islam il dovere della responsabilità
E adesso la parola passa ai musulmani. Sulla firma del leader sunnita di Al Azhar congiunta a quella del Papa nel documento sulla fratellanza umana si è infranto anche l’ultimo tabù: quello di un islam impermeabile in quanto tale alle riforme. Ad Abu Dhabi il grande imam Al-Tayeb ha fatto precedere il gesto irrevocabile da un appello dai toni accorati rivolgendosi ai fratelli musulmani in Oriente: «Appartengo a una generazione che può essere definita come la generazione delle guerre... Lavorerò con mio fratello il Papa, per gli anni che ci rimangono, con tutti i leader religiosi per proteggere le nostre società».
E ancora: «Vi dico: accogliete a braccia aperte i vostri fratelli cristiani, perché sono i nostri partner nella patria, sono i nostri fratelli che, ci dice il Corano, sono i più vicini». E poi, diretto alle nuove generazioni: «Vi prego, insegnate questa barriera contro l’odio ai vostri figli, questo documento, perché è un’estensione della costituzione dell’islam, è un’estensione delle Beatitudini del Vangelo». Se la Chiesa, dal Vaticano II in qua, aveva cercato figure rappresentative tra i musulmani faticando a trovarle, nei confronti di Al-Tayeb certamente si è stabilito un dialogo non formale con l’islam, o almeno parte di esso.
Lo storico passo compiuto in terra d’Arabia, preceduto da una gestazione lunga un anno – come ha informato lo stesso papa Francesco – non solo lo ha siglato ma ne ha rafforzato il ruolo 'universale'. Tuttavia se da decenni Al Azhar è il centro accademico d’irradiazione dell’interpretazione dell’islam tollerante e aperto – seguito, senza far notizia, dalla maggioranza dei quasi due miliardi di musulmani nel mondo –, l’antitesi del settarismo e dell’estremismo wahhabita, del quale l’Isis è una patologia, abita nei regni del Golfo.
Dunque ancora più forte appare ora la responsabilità assunta davanti ai leader e ai governanti islamici da parte di Ahmad Al-Tayeb, che già nell’incontro con il Papa al Cairo nel 2017 aveva messo a tema il ruolo dei leader religiosi nel contrasto al terrorismo e nell’opera di consolidamento dei princìpi di cittadinanza e integrazione.
Ed è proprio su alcuni punti del documento, altamente sensibili e nevralgici, che i governi e i leader religiosi sono stati messi davanti al fatto compiuto, e sui quali ora la responsabilità di uno sviluppo concreto è maggiore. In primis pensiamo all’impegno per stabilire in Medio Oriente il concetto della piena cittadinanza e rinunciare all’uso discriminatorio del termine 'minoranze' sofferto dai cristiani nativi della regione, che hanno subìto pressioni sociali e politiche e vengono trattati come cittadini di serie B. Quindi, «il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi», la protezione dei luoghi di culto, e non da ultimo il dovere di riconoscere alla donna il diritto all’istruzione, al lavoro, all’esercizio dei propri diritti politici interrompendo «tutte le pratiche disumane e i costumi volgari che ne umiliano la dignità», lavorando «per modificare le leggi che impediscono alle donne di godere pienamente dei propri diritti».
Per quanto riguarda il terrorismo si afferma definitivamente che non è dovuto alla religione, anche se chi pratica violenza la strumentalizza, ma è dovuto a una lunga sequenza di interpretazioni errate dei testi religiosi, come anche alle politiche che alimentano fame, povertà, ingiustizia, oppressione, arroganza. Nel documento viene richiesto esplicitamente di «interrompere il sostegno ai movimenti terroristici attraverso il rifornimento di denaro, di armi, di piani o giustificazioni e anche la copertura mediatica, e considerare tutto ciò come crimini internazionali che minacciano la sicurezza e la pace mondiale».
Sull’assunzione di queste responsabilità siglate si gioca ora la partita decisiva. Per una vera cultura della cittadinanza e dell’uguaglianza che sembra ancora essere un sogno, davanti non solo agli al-Malik di oggi a cui serve quella credibilità di cui Francesco, come il suo omonimo santo ottocento anni fa, si è reso testimone disarmato, come cifra di una fraternità possibile fra cristiani e musulmani in terra d’islam, chiedendo pace e conoscenza dell’altro.