Opinioni

Kenya ed Etiopia. Obama in Africa: i diritti e le amnesie

Giulio Albanese martedì 28 luglio 2015
Un tour africano, quello del presidente americano Barack Obama, che ha certamente colto nel segno, soprattutto dal punto di vista comunicativo. È riuscito, infatti, nel corso dei suoi numerosi interventi in Kenya prima e in Etiopia poi, a modulare un ventaglio di messaggi dal tenore esortativo che, solitamente, i politici africani lasciano, per così dire, nel cassetto. Parlando, ad esempio, davanti ad una platea di cinquemila persone nell’arena di Safaricom a Nairobi, ha ricordato che l’Africa, può davvero farcela a risollevarsi, ma per essere vincente deve avere il coraggio di osare, una riformulazione del suo slogan 'Yes, we can', che l’ha portato alla Casa Bianca.  Secondo il leader statunitense, è necessario combattere la corruzione, che frena lo sviluppo, contrastare il terrorismo senza violare i diritti umani e civili delle persone, includere tutti nella società, a partire da donne e giovani, rafforzare la democrazia e la partecipazione, garantendo la stabilità e, dunque, lo Stato di diritto. Tutte cose vere, rispetto alle quali i governi africani devono avere l’umiltà di rimboccarsi le maniche per passare dalle parole ai fatti. Obama, d’altronde, ha rivendicato le sue origini africane e si è pertanto presentato non solo come capo della Casa Bianca, ma anche come esponente di spicco della diaspora africana nel mondo.  Durante il suo soggiorno in Kenya, ciò che ha colpito maggiormente i giovani – che peraltro rappresentano nel continente oltre il sessanta per cento della popolazione – è stata la sua indubbia capacità di operare una lettura critica delle società ancestrali, senza però svalutarne la carica valoriale. «Nel XXI secolo – ha avvertito Obama – non c’è spazio per quelle tradizioni che, in molte parti del mondo, continuano a opprimere le donne, trattandole da cittadine di serie B». E nemmeno c’è spazio, ha aggiunto, per la persecuzione di chi ha un orientamento omosessuale. Vi sono però altri aspetti sui quali Obama avrebbe fatto bene a soffermarsi: le nuove forme di schiavismo e di colonialismo. In Africa le politiche d’investimento internazionali – non solo occidentali – continuano a essere predatorie. E nonostante il continente registri tassi di crescita superiori a quelli di molti Paesi del Primo mondo, il welfare resta il grande assente in quasi tutte le nazioni africane e, soprattutto, rimane aperta la ferita dell’esclusione sociale rispetto alla quale i Paesi industrializzati continuano ad essere indifferenti. Il fenomeno migratorio continua a mostrarcelo drammaticamente ogni giorno.