Opinioni

Giustizia. Per la madre di Tommaso l'ergastolo non avrà mai fine

Marina Corradi domenica 4 agosto 2024

Aveva 18 mesi quando una notte di marzo venne strappato dal seggiolone dalle braccia di uno sconosciuto, e consegnato ai complici. Braccia forti di un giovane pregiudicato, un ex pugile: quel bambino deve essergli parso un fuscello. Quel bambino piangeva, poi, come piange ogni lattante, tra facce sconosciute. Ma piangeva tanto Tommaso, piangeva troppo. Lo ammazzarono venti minuti dopo il sequestro: a badilate, perché finalmente tacesse.

È il modo di quella morte a Parma, che tutta l’Italia, che aveva sperato per settimane, sentì intollerabile. Nessuno che fosse almeno adolescente nel 2006 ha dimenticato Tommaso Onofri, rapito per estorsione in un progetto di balordi. Oggi avrebbe vent’anni. Forse sarebbe innamorato, forse sarebbe al mare. Invece è rimasto bambino per sempre, sepolto lungo un torrente, in una fossa molto piccola.

La notizia di oggi è che uno dei rapitori, Salvatore Raimondi, è in semilibertà e a breve sarà definitivamente libero. Con il complice Mario Alessi, al processo, si erano vicendevolmente addebitati la responsabilità dell’omicidio. I giudici hanno creduto a Raimondi: ergastolo al complice, vent’anni a lui per il rapimento, poi diventati sedici per buona condotta: «Il percorso di rieducazione è completato», è scritto. I conti con la Legge, saldati.

«L’unico vero ergastolo è il mio», dice la mamma di Tommaso. E come darle torto. Lei non dimenticherà mai, lei non potrà mai non pensare a quel suo figlio, e a come lo hanno finito. Pure essendo contro la pena di morte, e in linea di principio contro l’ergastolo, che è come seppellire vivo un uomo, nel leggere questa notizia si ha un sussulto di sgomento. Libero, chi strappò Tommaso ai suoi genitori quella notte? No, non è giusto, dice qualcuno in noi. Quell’uomo, ci assicurano però, è un altro ora, lavora, si è sposato. Bene. Non è ciò vorremmo per ciascun condannato?

Eppure, quel qualcuno dal fondo della coscienza protesta. I calcoli della Legge saranno corretti, ma il male fatto quella notte a Parma no, non è calcolabile. Il padre di Tommaso ebbe un infarto nel 2008 e morì dopo sei anni di coma. «Il vero ergastolo è il mio», dice la mamma. Il dolore di una madre appartiene alle grandezze incalcolabili, mentre la Legge è lì con i suoi commi che ingialliscono sui codici - la Legge è una povera cosa fatta dagli uomini, e quindi calcolabile.

Così che ciò che è giusto per i giudici ci appare sommamente ingiusto. Dovrebbe, viene da dire, essere prevista un’eccezione a ogni sconto, per i crimini particolarmente ignobili. Come quello di Parma. Il badile: solo a pensarci manca il fiato. «Ma ora è un altro uomo», affermano i giudici. Vogliamo crederci. Quell’uomo però è ancora giovane. Se ha avuto o avrà un figlio, solo nell’attimo in cui lo prenderà in braccio capirà cos’ha fatto, quella notte - capirà l’incalcolabile.

E quindi tutto è a posto e niente è in ordine. Il computo della Legge e l’incommensurabilità del male, materie non confrontabili. (Molti, dopo un crimine, invocano la giustizia. Certo: ma anche se viene fatta, non colmerà mai certi abissi).

Penso alla madre di Tommaso con soggezione. Leggo che è una donna di fede. Chissà che vuole Dio, da una donna trapassata da un tale dolore. Perché perdere un figlio per una malattia o un incidente già è insostenibile: ma il modo della morte di quel piccolo, è umanamente intollerabile.

Anche l’uomo condannato all’ergastolo per il delitto di Parma, e la sua compagna, avranno i loro permessi, dopo gli anni previsti. La Legge calcola e talvolta libera, il dolore no. Per il dolore di quella madre si può solo pregare. Quanto a Tommaso è lui, spero, che prega per noi: lui, 18 mesi, il bavaglino sporco di pappa al collo. Lui che quella notte, smarrito, piangeva - lui agnello, ritornato fra gli angeli.