Caro direttore, i membri del Consiglio presidenziale e il premier designato Fayez al-Sarraj sono arrivati a Tripoli. Un arrivo contrastato dalle truppe del premier ribelle Khalifa Ghwell, ma voluto dall’inviato delle Nazioni unite, Martin Kobler, che chiede un «passaggio di potere immediato, ordinato e pacifico». Un passo importante per la pacificazione dell’area, per la quale le prossime ore sono decisive. L’iniziativa dell’inviato speciale dell’Onu non ha ottenuto per ora il risultato sperato: la fiducia per il Governo di unità nazionale da parte del Parlamento di Tobruk, l’unico organismo riconosciuto a livello internazionale. Rimangono così sul campo due Parlamenti (il Congresso Generale nazionale di Tripoli e la Camera dei rappresentanti di Tobruk) e altri due Governi, che tra l’altro debbono affrontare l’avanzata delle milizie del Daesh, il cosiddetto Stato islamico. La nuova dottrina americana esclude interventi diretti massicci. I problemi tendono, perciò, a ricadere quasi snolo sui Paesi più o meno coinvolti o confinanti. Tra questi sicuramente l’Italia o meglio l’Europa che, nel 2003, nel documento 'Strategia europea di sicurezza', aveva scritto «che è nell’interesse europeo che i Paesi alle nostre frontiere siano ben governati». Poi, però, ognuno -- Francia e Inghilterra, soprattutto - ha continuato ad andare per conto suo, senza sapere che futuro costruire. E senza impegnarsi in quella direzione. Un fallimento. Rivendicare oggi, per la risposta alla crisi libica, la 'guida italiana in un contesto Onu' porterebbe allo stesso esito senza obiettivi chiari di ciò che si vuole e di ciò che non si vuole fare. Si rischierebbe solo di creare un altro Iraq alle nostre porte, o una Somalia. Inviare
tout court forze armate (5-6mila uomini) nel ginepraio libico o dividere quel territorio in aree di influenza (italiana, francese, inglese) sarebbe, insomma, un grave errore. Gli islamici fondamentalisti non aspettano che questa mossa. Occorre definire linee guida. Provo a proporne quattro, che evidenziano la necessità di una 'nuova dottrina della difesa' europea che, da un lato sconti l’inefficacia degli interventi solo 'di bombardamento', dall’altra archivi ogni idea di spettacolare esportazione di democrazia. Piuttosto c’è un doppio lavoro politico-ideologico e di intelligence che necessariamente comporta anche la presenza nei teatri di guerra. Va in questo senso la legge approvata dal Parlamento nel dicembre scorso con la quale si alcune forze speciali sono state trasferite dalla Difesa sotto l’ombrello giuridico dell’intelligence. E la finalità deve essere chiara: favorire la convivenza pacifica tra i popoli dando un nuovo e maggiore peso agli organismi internazionali. Ma ecco le quattro proposte. 1) Comprendere la reale consistenza delle bande Daesh in Libia e dare supporto esterno alla loro sconfitta, recidendo prima di tutto le reti che consentono loro di alimentarsi e di armarsi. 2) L’Italia, anche tramite la valorizzazione del ruolo europeo di Federica 'Mrs Pesc' Mogherini, proponga con forza una strategia, appunto una 'nuova dottrina della politica estera e della difesa comuni', obiettivo culturale prima che politico e della massima urgenza se non vogliamo vedere l’Europa... sconfitta dai populismi nelle urne. 3) Qualsiasi intervento dovrà essere svolto sotto l’egida Onu, condizione necessaria, ma non sufficiente; perché non può esserci alcun intervento se non si parte da un accordo chiaro sulla necessaria risistemazione del futuro della Libia che contempli anche una ripartizione o cogestione degli interessi economici che, a oggi, sono intrecciati fra le diverse realtà territoriali. Formare una Unione Libica di tre Stati – Cirenaica, Tripolitania e Fezzan – che hanno in comune la Comunità del petrolio e del gas (Copega), una sorta di Ceca. 4) Gli europei, costituendo una forza militare europea ad hoc – non di Francia e Italia, ma dell’Unione Europea sotto comando italiano – potrebbero aiutare il governo libico unitario ad assicurare la transizione. Sarebbe, tra l’altro,
in nuce l’auspicabile esercito europeo. Nel frattempo, andrebbero previste aree di accoglienza di potenziali profughi nella stessa Libia, in Egitto e in Tunisia. Un’iniziativa del governo italiano in questa direzione sarebbe innovativa nelle relazioni con l’Africa, marcherebbe la strada di un rilancio dell’Europa come progetto politico e contribuirebbe, coltivando le condizioni per una convivenza pacifica, ad evitare quella che si annuncia come una catastrofe.
*Deputato del Pd