Da che cosa nasce l’integrazione. Per fare gli italiani ci vuole amicizia
L’integrazione non funziona se non nasce l’amicizia. Nessun essere umano si inizia a riconoscere in una comunità o in un luogo diverso da quello in cui si è formato o ha vissuto senza che nel nuovo luogo nasca un’amicizia o un amore, una forma di fratellanza. Vale per chi si sposta da Roma a Milano, figurati per uno che si sposta da Aleppo a Torino o da La Paz a Bologna. Solo chi non ha letto nulla dei grandi filosofi o poeti sottostima la forza della parola amicizia, o sorride se la si usa a proposito di questioni sociali. Ma è l’amicizia, a sentire Platone, Cicerone Dante e anche il Vangelo, la forma d’amore più alta. E dunque la forza più imponente di cui disponiamo. Invece, ci affidiamo alla burocrazia e a qualche buon sentimento a costo zero.
Per poi rimanere impantanati e forse aggravare i problemi, come sta avvenendo in queste ore in Italia e in Europa. Una notte, un signore importante di Agadez la città che alle porte del Sahara è snodo per i migranti che provengono dall’Africa subsahariana ha dichiarato in tv: «Fermare questo flusso è come voler fermare i turisti a Venezia».
La metafora è agghiacciante. E dona l’idea della forza, economica e umana, del fenomeno. A tale forza nessuna è pari, né la burocrazia né la legge. Ma solo l’amore e l’amicizia oppure, come si vede tragicamente, la morte. Per essere realisti davvero, per smetterla di usare parole comode occorrerebbe parlare di amicizia con lo straniero che arriva, non sempre e solo di integrazione.
La parola integrazione sa di meccanico, come se fosse un problema di dosaggio di elementi. Come dire: lasci un po’ del tuo vissuto, prendi un po’ del nostro, lasci un po’ della tua identità e te ne fai entrare un po’ della nostra. L’integrazione sarà figlia dell’amicizia o non sarà. Abbiamo visto come situazioni che sembravano essere incomunicabili come esempi di 'integrazione' in realtà sono stati nido della peggiore inimicizia. Nessuna legge che favorisca solo la cosiddetta integrazione può funzionare, se non favorisce anche e prima l’amicizia.
Ovviamente la legge non può far nascere amicizie, ma può non ostacolarle. Se tieni dei ragazzi di vent’anni (o anche meno) fermi per sei mesi o pure un anno in un posto a non fare nulla - così finora, e di fatto, le nostre norme fabbrica-irregolari prevedono per ragazzi che hanno l’età dei nostri figli, dunque bombe di vita - è chiaro che non favorisci le amicizie, figurati l’integrazione…
E infatti li vedi questi ragazzi, tranne in rari bellissimi casi, vagare o sostare a branchi, tendenzialmente isolati. L’amicizia non è ovviamente quella pantomima dei social come Facebook (furbi però, han capito che è una parola chiave in un’epoca di individualisti) e non è nemmeno un fatto privato e isolato. Vediamo troppo spesso relazioni che vengono chiamate amicizie ma che sono come delle isole o meglio trappole che generano solo deserto intorno. Le amicizie vere sono un fertilizzante sociale. Nulla oggi è urgente come la loro umana, realista forza. La domanda è urgente, personale. Da dove traiamo le energie per l’amicizia?