Opinioni

La benedizione del Papa e dei vescovi. Per essere voce di tutti

Riccardo Maccioni sabato 28 marzo 2020

Da solo, per essere voce di tutti. I malati, gli operatori sanitari, la gente comune. Da solo, portando sulle spalle il dolore di chi non può esserci. Da solo, con le braccia alzate nella benedizione, che è già indicare una strada. Quella che abita la realtà senza diventarne schiava, che sa distinguere il necessario dal superfluo, che nella colpa pensa più al perdono che alla punizione. Se c’è un’immagine che riassume la strana giornata vissuta dalla Chiesa ieri, una specie di Venerdì Santo in anticipo, è il richiamo alla misericordia quando intorno tutto testimonia sofferenza, rabbia, delusione. È la piazza, l’immensa piazza San Pietro vuota mentre il Papa invita alla pazienza e alla speranza, è la pioggia che ritma il suo appello alla fede, è il coraggio di mettere in ascolto il cuore quando invita a combattere un nemico invisibile con armi altrettanto nascoste: la preghiera e il servizio silenzioso. Lontani dalla luce che abbaglia sì, eppure capaci di trasformare il mondo dal di dentro, di restituire umanità dove viene maltrattata e combattuta come una parolaccia, soprattutto in grado di dare una risposta alla paura, di incanalarla nella ragione perché non diventi rassegnazione o, peggio, rancore.

Niente frasi fatte e tanta concretezza dunque, più perseveranza che gesti clamorosi, pazienza e umiltà invece delle false eppure suadenti ricette miracolose. Com’è nello stile delle guide sicure, come sono i pastori. Umili costruttori di una comunità che non dimentica nessuno, ma anzi, per citare la pagina del Vangelo, lasciano il resto del gregge per andare a cercare l’unica pecora che si è perduta. Ma oggi quello smarrimento è di tanti, in Italia e in tutto il mondo: dai familiari che piangono un parente o un amico che non hanno potuto salutare, alle vittime del virus, imprigionate nel peggiore degli incubi: morire da soli.
A loro, specialmente a loro, hanno voluto rendere omaggio i nostri vescovi, nella visita di benedizione e di consolazione fatta ieri ai cimiteri. Un pellegrinaggio del dolore tra tombe con pochi fiori, per regalare una carezza a chi non l’ha potuta avere nel suo ultimo giorno, prima dell’unico respiro di vita rimasto. Nei campisanti come li chiamano gli anziani, timbro di fede a un luogo di lacrime, i pastori della Chiesa italiana erano soli. Come il Papa sul sagrato di piazza San Pietro. E proprio come lui, i loro discorsi, compresi quelli senza parole, sono stati al plurale e declinati al futuro, quasi un anticipo della vita nuova, hanno ricordato, che ci attende tutti, per non morire mai. Eppure anche lì, tra le lapidi e le pietruzze dei sentieri, più delle parole sono stati importanti i gesti. La preghiera silenziosa, la calma del raccoglimento, soprattutto lo sguardo lungo, quasi a stringere in un unico abbraccio ciascuna delle storie riassunte da una fotografia, sintetizzate da qualche frase devota incisa sul marmo.

Un modo per restituire un’identità, per testimoniare a chi non c’è più l’affetto e il ricordo di una comunità intera, di uomini e donne costrette in casa da una responsabilità obbligata e dalla paura, tante volte sorella immatura della fragilità. Che invece, quando riconosciuta e accettata, può diventare il seme di un capolavoro, come il blocco d’argilla che nelle mani dello scultore si trasforma in un’opera d’arte. Un’immagine in cui c’è tutta la sfida lanciata dal Papa e dalle chiese del nostro Paese, cioè l’invito ad accettare di sentirsi piccoli per diventare grandi, il richiamo al coraggio della fede, che non cancella le difficoltà e problemi, soprattutto in questi tempi terribili, ma li rilegge guardando alla croce. Il legno che unisce la terra al cielo, ma prima ancora la via dolorosa che ha come meta una gioia infinitamente più grande.

Abbiamo una speranza, ha detto ieri sera il Papa: nella croce di Cristo siamo stati «risanati e abbracciati». Vuol dire che anche nella stagione del virus, del nemico invisibile che fatichiamo a combattere, ci sarà sempre qualcuno con noi, a tenerci la mano, a sussurrarci una parola giusta, a insegnarci una preghiera. Isolati, magari sì, ma soli mai.