Opinioni

Botta e risposta. Per domare l'inflazione serve anche riconoscere i propri errori

Pietro Saccò venerdì 7 luglio 2023

L’annuncio che il Consiglio direttivo della Bce potrebbe deliberare in luglio nuovi aumenti dei tassi di interesse ha provocato forti reazioni negative di alcuni esponenti governativi. È vero: una politica monetaria restrittiva si riflette sull’attività economica tendendo a deprimerla. È la strada che va percorsa per reprimere durevolmente le spinte sui prezzi, anche attraverso la formazione di aspettative di stabilità futura. La “vista corta” che a volte prevale in politica è colpita dalle reazioni negative di famiglie e imprese. Non vede i rischi e i costi di un’inflazione alimentata da aspettative di prezzi in continua e più accelerata ascesa. In Turchia, un Presidente innovatore ha pensato per anni che l’inflazione si correggesse abbassando, non aumentando i tassi di interesse. Ha licenziato diversi Governatori della Banca centrale non disposti a seguirlo. Dopo le recenti elezioni, ha posto a capo della Banca centrale un’economista dall’ottimo curriculum accademico e professionale. La sua prima mossa è stata quella di alzare i tassi dall’8,50 al 15%, in presenza di un’inflazione di oltre il 40%. E vedremo se sarà stato sufficiente. L’attuale ondata inflazionistica ha caratteristiche molto diverse da quelle del passato. Questo spiega, a mio avviso, la cautela della Bce che si muove monitorando costantemente situazione corrente e aspettative. Ma spiega anche perché non esiti a intervenire per “domare la bestia”.

Carlo Santini Roma


Caro Santini, rispondo volentieri alla sua lettera che mi ha girato il direttore. Christine Lagarde si trova a guidare la Banca centrale europea in uno dei momenti più complicati della sua (breve) storia. Dopo oltre un decennio di politiche monetarie ultra-espansive e di tentativi a vuoto di riavvicinare al 2% una fiacchissima inflazione (ora sembra un’altra era, ma si diceva che l’inflazione bassa era una tendenza “secolare”), i prezzi durante il 2022 sono saliti fino ad andare fuori controllo. Ci sono stati imprevisti giganteschi che hanno avuto effetti pesanti sull’inflazione: su tutti la pandemia e poi l’invasione dell’Ucraina. È sempre facile ragionare con il senno di poi ma oggi sorgono dubbi anche sulla qualità delle scelte degli anni passati delle grandi banche centrali, che un po’ per la pressione dei mercati e un po’ per quella dei governi hanno rinviato troppo a lungo la strategia di uscita dalla politica dei tassi zero fino a trovarsi ad essere costrette ad una stretta monetaria brusca e severissima. Purtroppo non è nemmeno scontato che la strategia adottata dalla Bce riesca a “domare la bestia”, data la strana natura di questa inflazione. La realtà di questi anni mette in crisi tante teorie economiche consolidate. Mentre è evidente il rischio di spingere in recessione l’economia della zona euro. Quando Lagarde dice di essere pronta a tutto per riportare l’inflazione al 2% dovrebbe chiarire se per “tutto” intende anche l’eventuale perdita di decine di milioni di posti di lavoro e la chiusura di decine di migliaia di aziende (e le imprese non si riaprono con un taglio dei tassi). Allo stesso tempo, l’abbandono dell’abitudine di offrire chiare indicazioni sulle mosse future (anche la tanto decantata forward guidance sembra adesso non servire più) e i continui cambi di interpretazione su ciò che sta succedendo ai prezzi in Europa offrono all’esterno l’immagine di una Bce poco serena, spaventata dalla sfida che non si aspettava di dovere affrontare. Per la politica questa Bce improvvisamente “avara” è un bersaglio facile, ma la banca centrale non può nascondersi dietro la propria natura tecnica e il sacrosanto principio di indipendenza: anche ai banchieri centrali occorre l’umiltà di ammettere i propri errori e il realismo di capire che l’obiettivo di riportare l’inflazione sotto al 2% non può essere la priorità letteralmente assoluta per i popoli che abitano i Paesi della moneta unica.