Opinioni

L’islam e l’odio assassino. Per comune civiltà

Riccardo Redaelli sabato 27 settembre 2014
Da tempo si attendevano dagli alti rappresentanti dell’islam, in terre arabe e in terre europee, parole nette di condanna contro la violenza brutale e folle dei movimenti jihadisti. Una risposta che suonasse inequivocabile contro gli assassini che affermano di parlare e agire in nome di Dio, così da dimostrare sia a chi diffonde a piene mani l’islamofobia, sia a chi si ostina a trovare una strada per la convivenza e per il dialogo, che nessuno può nascondersi dietro la propria fede per giustificare i propri crimini. Non è un mistero che queste voci abbiano faticato a risultare veramente significative e a suonare come una condanna senza appello di ogni violenza. Tuttavia, in questi ultimi giorni, dinanzi agli orrori crescenti di Is che hanno motivato l’azione militare di una parte del mondo occidentale e arabo, dalle comunità islamiche si moltiplicano i gesti di condanna. Ed è significativo che vengano anche e soprattutto da comunità sunnite, spesso le più ambigue contro i salafiti e gli jihadisti.In una lunga lettera aperta indirizzata direttamente all’autoproclamato califfo, Abu Bakr al-Baghdadi, oltre cento fra i più autorevoli esperti di shari’a e ulema sunniti hanno condannato i suoi proclami, smontandoli punto per punto con l’arma dell’esegesi coranica e della tradizione. Un passo importante, per quanto molto ostico ai non musulmani, dato che evidenzia quanto le tesi dei fanatici radicali siano un’accozzaglia di odio settario e di pressappochismo dottrinale che toglie loro qualsiasi legittimità religiosa.E ieri, in una Francia sconvolta dal brutale assassinio di un suo concittadino per opera di jihadisti algerini, vi è stato un gesto che forse è meno significativo a livello teologico, ma che ha certo un impatto politico e mediatico più forte: migliaia di musulmani sono scesi in piazza in diverse città per manifestare il proprio cordoglio e il proprio sdegno, rispondendo all’appello del Consiglio francese del culto musulmano (Cfcs). Lo stesso rettore della Grande Moschea di Parigi ha usato dure parole di condanna. Come sempre, tuttavia, questi gesti possono essere letti in modo divergente. Chi prima criticava il silenzio dei musulmani francesi, dice ora che qualche migliaio di persone sono poca cosa rispetto ai cinque milioni di appartenenti a quella comunità. Per altri si tratta di mosse mediatiche, fatte da un Consiglio che non rappresenta veramente l’islam francese, mentre nelle moschee europee continuano le ambiguità e i distinguo. Ma un passo, per quanto piccolo e incerto possa essere, è un passo. E sminuirlo sarebbe non solo ingeneroso, ma anche autolesionista.A tutti noi sono evidenti le ambiguità di tante voci del mondo musulmano, a partire dai sovrani arabi del Golfo che fanno ora volare i loro bombardieri contro quelle formazioni che hanno spesso blandito, incoraggiato e anche foraggiato. E sono evidenti i numeri terribili che parlano di migliaia di europei partiti per combattere il jihad (e quante altre sono le "cellule" potenzialmente violente rimaste nel continente?). Ma chi pensa che la soluzione sia solo la forza si sbaglia. Tanto più se a essa si accompagna la demonizzazione di una fede intera. Non sconfiggeremo il terrore nelle sue infinite mutevoli sigle con i nostri costosi giocattoli di guerra: droni, missili e altre armi pseudo-intelligenti.È fondamentale che dentro l’islam si acquisti la consapevolezza di quanto sia pericoloso e scivoloso giustificare la violenza in nome della propria fede e che inizi un cammino – che sarà inevitabilmente lungo e faticoso – di ripensamento di certe interpretazioni e di certe tradizioni consolidate. Ma perché questo possa avvenire è fondamentale che si moltiplichino dei gesti, per quanto formali possano apparire, come quello di ieri in Francia. Chi uccide in nome dell’islam deve percepire il vuoto attorno. E chi rappresenta e parla per conto delle comunità islamiche deve promuovere il rifiuto della violenza e far risuonare forte nelle moschee quelle voci di comune civiltà di cui c’è un disperato bisogno.