Lettere. Per certa pubblicità è già Natale. L'insulsa giostra che accelera le stagioni
Caro Avvenire,
è proprio vero il luogo comune che recita: «Non ci sono più le stagioni di un tempo!». Parodiandolo ci sarebbe da dire: «Non ci sono più le ricorrenze di un tempo!». Fuor di metafora, vorrei segnalare attraverso il nostro giornale a tutti gli amici lettori quanto antipatica, e (forse) anche controproducente per gli interessati, risulti la pubblicità che, da alcune settimane (fine settembre), una nota casa produttrice di divani e poltrone, propina incessante ai telespettatori annunciando sconti per l’imminente Natale. Dice proprio così la propaganda: «È già Natale qui (e nomina l’impresa indu-striale)! ». Ovviamente c’è ampia libertà ormai su tutto, con casi anche più gravi di questo, ma per cortesia che il Santo Natale a fine settembre venga usato per incrementare le vendite di un sofà, mi sembra proprio eccessivo. Non so se questo mio parere possa essere condiviso.
Dino Levante Novoli (Lecce)
Anche io, ascoltando quella pubblicità, che peraltro passa in tv con ritmi ossessivi, ho avuto un leggero sobbalzo. “È già Natale”? A fine settembre? Ma ho fatto da soli tre giorni il cambio di stagione negli armadi, ho obiettato tra me, debolmente. Un po’ sgomenta, nel sentire il cenno di una nenia natalizia adesso, quando ancora così vicino è il ricordo dell’estate. È la medesima sensazione che mi prende quando entro negli autogrill in autostrada, e ogni volta incappo, con più di un mese di anticipo, nelle (trapiantate) zucche di Halloween o nei (volutamente insignificanti) conigli pasquali. Mi pare di essere su una specie di giostra, che più velocemente ancora del tempo – che già è abbastanza veloce – accelera, allo scopo di diffondere il prima possibile le sue stagionali mercanzie.
Così che adesso, a inizio ottobre, negli autogrill è appunto già tempo di zucche; rapidamente si passerà ai Babbi Natale, e di corsa alle calze della Befana. Una settimana, e cuori, ovunque cuori, perché San Valentino si approssima; nonché Carnevale, e subito San Giuseppe, festa del papà e buona occasione pure questa per vendere cioccolatini. Poi, Pasqua si allarga sugli scaffali, con il suo corredo di uova e pulcini. Non ti sei ancora ripresa e di nuovo cuori ovunque, è la festa della mamma. E battono, battono veloci sui tasti le dita delle cassiere. Mentre il primo caldo orienta i consumi verso i fucili ad acqua, per la gran festa, che si prepara, del Ferragosto. Il gioco della giostra è consumare di più, e prima, oggetti non strettamente indispensabili, col pretesto di una ricorrenza. Ma è proprio il nome e il significato di quella festa che in questa sorta di frullatore rischia di essere svuotato, venendo proposto e ripetuto tanto tempo prima del suo scadere, che quando arriva già quasi quel nome ci è venuto a noia.
È proprio il significato di quelle feste a venire annullato nella pressione commerciale. Non è Natale, signor Levante, non ancora. Appena gli alberi cominciano a perdere le foglie, le mattine ingrigiscono, e l’uva, al mercato, è ancora buona. Le giornate si accorciano, ma il freddo non morde; un sole gentile ogni tanto compare, a dire che l’inverno è lontano. È solo autunno, la stagione del declino, lo sfarsi lento dell’estate che converge verso il lungo buio del solstizio di dicembre. Allora sì, nel fondo di quel buio e di quel freddo, si potrà dire: è Natale, e accendere le luci nelle case e sulle strade, a rischiararle. A sperare. Che quelle nostre modeste luci siano segno della gran luce che nasce. Nel culmine della notte, quando la natura pare vinta e morta, la struggente luce del Natale.