Nel ddl criticità da affrontare e risolvere. Per buone Dat c'è lavoro da fare
Caro direttore,
la proposta di legge sul cosiddetto “biotestamento” attualmente in discussione alla Camera suscita nei medici cattolici notevoli perplessità e in alcuni aspetti, così com’è progettata, netta contrarietà perché, a causa della filosofia di fondo che la sostiene, potrebbe essere anche ambiguamente interpretata o utilizzata per l’introduzione di una qualche forma di eutanasia passiva.
È pur vero che il testo pervenuto in aula all’esame dei parlamentari presenta delle modifiche positive rispetto a quello elaborato dalla XII commissione Affari sociali (per esempio la menzione all’articolo 1 che la legge «tutela la vita e la salute» o anche che «il paziente non può esigere trattamenti sanitari contrari a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche assistenziali»), ma esse non sono tuttavia di rilevante importanza rispetto all’impianto complessivo.
Di interesse e innovativo invece è il riferimento alla pianificazione condivisa delle cure, del resto come auspicato già dal Comitato nazionale per la bioetica fin dal 2003 e dal Codice deontologico dei medici. Se è vero che l’autonomia e la libertà di scelta di ogni persona sono valori da garantire, è anche vero che il testo sembra mostrare una prospettiva di assoluta autodeterminazione del paziente nelle sue richieste che appaiono irrefutabili, tanto che assumono una inderogabile vincolatività per il medico che le deve meramente attuare. Libertà e autonomia quindi non possono essere l’unico fondamento della relazione medico-paziente, mentre al contrario si auspica sempre un rapporto di alleanza che deve essere instaurato in ogni percorso di diagnosi, alleanza terapeutica o cura, in quell’incontro tra la fiducia del paziente e la coscienza del medico.
Del resto il Codice di deontologia medica all’articolo 38 dice che il medico, pur tenendo conto delle volontà espresse, non le attua acriticamente ma sottopone a una verifica tali dichiarazioni in base alla «loro congruenza logica e clinica con la condizione in atto». È pur vero che nel comma 4 dell’articolo 3 della proposta di legge si afferma che le Dat possono essere disattese quando sussistono terapie innovative che, dopo la loro sottoscrizione, sono «capaci di assicurare possibilità di miglioramento delle condizioni di vita», ma ciò sembra, a parere condiviso, una condizione limitativa rispetto alla possibilità di una complessiva valutazione. Ciò che sembra inaccettabile è la possibilità, come prospettata nel testo, di rifiutare non solo qualsiasi terapia ma anche le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali, intese sempre e comunque come trattamenti sanitari.
Riteniamo invece che esse siano sempre dovute alla persona disabile, come a ogni ammalato e al morente, tenendo conto delle varie condizioni cliniche in cui si può venire a trovare, finché esse risultano utili e proporzionate ai benefici attesi e non siano gravose per il paziente. Altra criticità che si rileva nel testo è l’assenza di un riferimento all’obiezione di coscienza che il medico può sollevare in merito ad alcuni aspetti della legge.
*Presidente nazionale Amci-Associazione medici cattolici italiani