Opinioni

Generazioni. La verità sulla pensione del futuro è una lezione per cambiare il presente

Massimo Calvi martedì 11 giugno 2024

Da qualche tempo chi è interessato a farsi un’idea sul proprio futuro previdenziale può dilettarsi consultando “Pensami”, il simulatore di scenari pensionistici dell’Inps. Inserendo pochi dati personali, elaborati comunque in una modalità di totale anonimato, chiunque può venire a sapere a che età si conquisterà il diritto di andare in pensione.

Il simulatore è stato appena aggiornato tenendo conto delle nuove regole previste dalla legge di Bilancio 2024 e degli scenari demografici italiani. Come noto, infatti, l’età in cui ci si può ritirare dal lavoro dipende anche dalla durata della vita media nel Paese. Al di là dei tecnicismi, la consultazione del simulatore della pensione è un esercizio utilissimo, e sarebbe stato molto importante disporre di qualcosa di simile già dieci o vent’anni fa.

Ad esempio, un trentenne di oggi può sapere che lavorando almeno 20 anni e versando sempre i contributi potrebbe riuscire a stare a casa a quasi 67 anni, ma solo se avrà avuto un buono stipendio, mentre se contribuirà per meno di due decenni alle casse dell’Inps gli toccherà aspettare fino a 74 anni per ricevere un assegno.

Lo sguardo sul futuro è importante. Non tanto per quello che sarà, ma per come dovremmo imparare a vivere il presente. La generazione nata più o meno a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta ha già conosciuto il peso di riforme previdenziali molto restrittive, se paragonate al generoso regime previdenziale di cui ha beneficiato la generazione precedente, che potremmo identificare con i giovani che hanno “vissuto” il ‘68. Per essere più chiari: quando nel 2011, per evitare il default dell’Italia, è stata varata la severissima riforma Monti-Fornero, la riforma Dini del 1996 non aveva ancora prodotto effetti.

I nati tra i Sessanta e i Settanta hanno però avuto quantomeno un vantaggio rispetto alle generazioni successive: se pure hanno fatto più fatica a comprare casa o ad ottenere una pensione in “giovane” età rispetto al passato, la loro vita lavorativa è stata mediamente più stabile. Per chi è nato dopo, l’insicurezza è aumentata, il lavoro è diventato più precario e le prospettive finanziarie si sono indebolite. Per questa generazione sarà ancora più complicato costruirsi un percorso contributivo lineare: più che una prospettiva, la pensione rischia di diventare un miraggio.

Fare calcoli sulle rendite previdenziali dei singoli può avere però poco senso. Ma, come dicevamo, le simulazioni dovrebbero spingerci a guardare con occhi diversi all’oggi. Per ricordarci, cioè, che il benessere personale non può essere costruito scaricando i costi sugli altri o su chi verrà dopo. Un sistema che per decenni ha tollerato elevati tassi di evasione fiscale o contributiva, difeso i privilegi patrimoniali o presunti diritti acquisiti, assecondato la dipendenza dal debito pubblico, si è rassegnato alla denatalità o ha trascurato l’impatto della crisi demografica nell’analisi del fenomeno migratorio, può non essere il posto migliore per fare simulazioni sul futuro, si tratti di previdenza o altro. A meno che la volontà di credere e investire nelle giovani generazioni non diventi un alimentatore di fiducia tale da consentire di vivere senza dover pensare troppo alla pensione.