Scripta manent. Pedofilia nel clero, vero allarme ma da valutare senza paraocchi
Gentile direttore,
dopo aver letto l’interessante rubrica di Salvatore Mazza riguardo alla lotta contro la pedofilia nella Chiesa, vorrei aggiungere alcune note, tratte dalla mia esperienza di avvocato nei tribunali vaticani. Texas, una domenica pomeriggio estiva, barbecue e qualche amico – fra cui un giovane sacerdote – nella piccola piscina dietro casa. Qualcuno chiacchiera sulle sdraio, il sacerdote e Anna (prendiamo a piacere dal calendario il nome da assegnare alla figlia dei padroni di casa) entrano in acqua e ingaggiano – chi non l’ha mai fatto? – una battaglia scherzosa a colpi di spruzzi. Anna pare soccombere, si ritira verso la scaletta, il sacerdote con un paio di bracciate la raggiunge, allunga un braccio per trattenerla, il costumino scivola lungo la gamba e la bambina, graziosamente impermalosita come a otto anni si è soliti fare, si volta e – fra le risate generali – insulta il suo “nemico”. Purtroppo ad Anna la vita non va bene: circa trent’anni dopo la ritroviamo divorziata, senza denaro, con una figlia e un passato pesante, di droga e prostituzione. Anna si reca in Diocesi e racconta che il proprio fallimento è la conseguenza di un abuso subito da piccola: chiede un risarcimento ma premette che si accontenterebbe di un divano nuovo e della riparazione della sua automobile. Cambiamo luogo: frate Gioacchino (uso sempre il calendario) si reca tutti i giorni a fare visita ai ricoverati nell’ospizio di Baltimora, posto dietro al Convento ove lui risiede. Un giorno, poco dopo aver terminato il giro, il religioso viene convocato d’urgenza dal Superiore: una degente novantatreenne del nosocomio, trovata discinta e in stato confusionale, ha riferito di essere stata aggredita sessualmente da un uomo. Poiché la poveretta pare non avere molti visitatori, si avvia un procedimento nei confronti del frate, presto chiuso dalla polizia per mancanza di elementi, incongruenza del racconto, descrizione dell’aggressore incompatibile con l’aspetto di frate Gioacchino. Caso chiuso dalla Polizia, ma non dall’Ordine, che immediatamente sospende il religioso, lo interroga e controinterroga, lo invia in un istituto specializzato nella valutazione psichiatrica, rinuncia infine a processarlo, ma mantiene (son passati circa vent’anni!) la sospensione per evitare che qualcuno possa accusare il Superiore di avere “insabbiato” il caso e, con una richiesta di risarcimento, mettere «a repentaglio il patrimonio dell’Ordine » (testuali parole!). Sia il giovane sacerdote della piscina, sia frate Gioacchino compaiono nell’elenco pubblico – scaricabile da internet o dai siti diocesani – dei “credibilmente accusati” per abusi sessuali. Potrei menzionare molti altri episodi, riguardanti altri religiosi e/o sacerdoti: dalla mano sulla spalla durante la Confessione («La spalla – scrive il consulente del tribunale diocesano – si trova vicino al seno, quindi anche se il sacerdote non aveva intenzioni impure il penitente può averle percepite, configurandosi così un reato di “sollecitazione”»), al bacio in fronte del docente in Seminario al neoprofesso (possibile invito – secondo i giudicanti – a più torbide intimità), ma non mi interessa divulgare casistica. Ciò che invece voglio esprimere – e ho già espresso più volte, sia con la stampa locale che con quella internazionale – è il mio sconcerto verso un argomento di cui tanto spesso si parla senza cognizione, inseguendo più le torbide elucubrazioni di gente in cerca di vendette o di cronisti a caccia di notizie sensazionali che il giusto accertamento di fatti e responsabilità. A tale proposito non esito a dire (errando probabilmente per difetto) che i casi come quelli sopra riportati costituiscono il 75% dei numeri impressionanti (anche se in realtà modesti rispetto alle proporzioni “laiche” dei casi di abuso sessuale) che si riportano quando si parla di “pedofilia nella Chiesa”. Certo, casi ci sono, e per un cattolico anche uno soltanto sarebbe di troppo; l’allarme non va sottovalutato e il criminale deve essere punito con severità, ma chi non si ferma alla superficie delle cose, bene intende come l’attenzione spasmodica all’opinione pubblica sia il peggior nemico della vera giustizia e come, nel disordine, i veri criminali sguazzino perché non c’è migliore posto per nascondere una mela marcia che un cestino di mele buone. La ringrazio per l’attenzione e saluto, assieme a lei, tutti i suoi lettori.
*Avvocato della Curia Romana Scripta manent