Il direttore risponde. Pedofilia, gli strani insinuati dubbi e la limpida linea «morale» della Cei
Caro direttore,
sono un medico di medicina generale, Conosco molto bene cosa comporta essere un pubblico ufficiale. Ritengo che la distinzione giuridica operata dalla Cei tra “pubblico ufficiale” e “comune cittadino” sia non applicabile al mandato pastorale di un vescovo, qualora venga a conoscenza di un reato così schifoso e abietto come un atto di pedofilia. In questo caso un vescovo deve sentire il dovere di denunciare a prescindere dal suo status giuridico. Se non lo fa, è meglio che smetta quei panni. Un successore degli apostoli non sarà un pubblico ufficiale, ma non può nemmeno dimostrarsi un pubblico fariseo… I bambini , i minori, le persone in situazione di inferiorità psicologica sono indifesi e, quando subiscono abusi, non sanno cosa è un pubblico ufficiale, ma sanno molto bene cosa è il dolore, un dolore immenso fino alla morte... Mascherarsi dietro un paravento giuridico è assolutamente vile, meschino e osceno: «Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all’uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!» (Matteo 18, 6–7). Non entrerò più in una chiesa, direttore, fino a quando non ci sarà un revisione radicale di questo atteggiamento vile, e le garantisco che sono un cattolico convinto. Dio protegga Papa Francesco che sa riconoscere molto bene chi è un sepolcro imbiancato.
Giovanni Manera, Villar San Costanzo (Cn)