Sud. Rapina in una chiesa dei fratelli evangelici, un altro appello allo Stato assente
Una piccola Comunità evangelica, quella di Orta di Atella, comune del Casertano. I fedeli si ritrovano, diverse volte la settimana, per la gioia di stare insieme, pregare, riflettere, leggere la Bibbia. Gente semplice che ha fiducia in Dio e nel prossimo. Domenica sera, sei uomini, incappucciati, armi in pugno, fanno irruzione nella chiesetta, minacciano i fedeli – tra loro diversi bambini - arraffano quello che possono e scappano via urlando.
La spaventosa e pericolosa rapina frutta ben poco, nel locale non vi sono opere d’arte e chi va a pregare non ha con sé chissà quali ricchezze. La paura dei fedeli, invece, è stata tanta.
La notizia ben presto fa il giro dei paesi, generando sconcerto, rabbia, preoccupazione. I fratelli e le sorelle evangelici godono ottima reputazione. Seri, riservati, discreti sempre. Ai membri di questa comunità devo molto. Furono loro che, anni fa, mi donarono la prima Bibbia, che lessi e rilessi con avidità, cercando di scovare tra le sue antiche pagine, la risposta ai tanti perché che la vita mi andava presentando. Posso confessare che se sono passato indenne tra le trappole della droga, dell’alcol, del fumo e di tante altre schiavitù, lo devo a loro e all’ amore a Cristo vivo, che mi hanno saputo trasmettere. Esperienze, percorsi, incontri. Ai giovani amo ripetere: « Un incontro ti salva la vita, un incontro potrebbe rovinarti la vita».
E, sovente, racconto di Enzo, mio amico di adolescenza. Non era peggiore degli altri del nostro gruppo. Negli anni in cui io incrociavo sul mio cammino i fratelli evangelici – resterò con loro otto anni – , lui, Enzo, incappava, in un sanguinario clan di camorristi facenti capo al famigerato Raffaele Cutolo. Ne rimase affascinato. Aderì.
Acciuffato una prima volta, fini in cella per diversi anni. Il carcere, però, non riuscì a redimerlo. Al contrario, uscì da quelle mura con una sorta di promozione. Era diventato, cioè, un potente boss. In paese tutti lo temevano, qualcuno addirittura lo invidiava. La ricchezza e il potere accumulati in poco tempo lo facevano apparire, agli occhi degli ingenui, un superuomo.
Io, intanto, mi ero imbattuto in un altro provvidenziale incontro, che mi avrebbe stravolto la vita. Un giorno mi fermai a dare un passaggio in auto a un francescano, scalzo e con il saio rattoppato. Si chiamava fra Riccardo. Diventammo amici. Il resto è storia nota. Sono un prete.
Una sera, era la festa del patrono del mio paese, vidi Enzo, silenzioso, triste, preoccupato, sorvegliato dalle sue guardie del corpo. Mi avvicinai. Lo abbracciai. « Ho saputo che sei diventato prete. Sono contento. Prega anche per me» mi disse. Non lo rivedrò più.
Pochi mesi dopo, due spietati sicari lo trucidarono sotto gli occhi dei familiari. Sono sempre stato riconoscente ai fratelli e alle sorelle evangelici per quello che mi hanno donato. Gli anni vissuti con loro, il bene ricevuto, l’ autenticità della loro fede mi hanno incoraggiato anche nella mia riflessione ecumenica e sulla necesssità di conoscerci meglio, almeno tra cristiani.
Ecco, domenica sera, la “mia” comunità evangelica ha subito l’affronto di un’ orribile rapina. “Sono stati violenti e minacciosi” ha detto il pastore Dario Iazzetta. Ed io sono certo che, dopo aver ceduto alle richieste dei malfattori, la comunità ha pregato per la loro conversione. Alla Chiesa evangelica di Orta di Atella, territorio che dal punto di vista cattolico, rientra nella nostra diocesi di Aversa, quella di don Peppino Diana, vittima innocente della camorra, vogliamo esprimere la nostra vicinanza, la nostra amicizia, la nostra più completa solidarietà.
Mentre, ancora una volta, insieme a loro, vogliamo richiamare l’attenzione delle istituzioni e della politica sui nostri martoriati territori, sovente fatti oggetti di furti e rapine orribili, che tanto terrore e tanta angoscia lasciano nelle vite delle povere vittime.