L'orrore di Gela. La madre assassina delle figlie e le sirene del male
Studiamo, ragioniamo, ci arrabattiamo, ma una risposta esauriente, fino ad oggi, non l’abbiamo trovata. La verità è che il male è avvolto in una coltre di mistero difficile da scalfire. Si lascia indagare fino a un certo punto, poi si sottrae alla nostra riflessione. Si nasconde, evade, si camuffa. Vero è che il più delle volte ce lo andiamo a cercare, il male. Con le nostre stesse mani ci facciamo male. Vero è che da soli ci scaviamo la trappola nella quale andare poi a cadere.
Papa Francesco, nel messaggio per la giornata della pace: «Anche Gesù visse in tempi di violenza. Egli insegnò che il vero campo di battaglia … è il cuore umano: dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive… Ma Egli predicò instancabilmente l’amore incondizionato di Dio che accoglie e perdona e insegnò ai suoi discepoli ad amare i nemici e a porgere l’altra guancia… Perciò, chi accoglie la Buona Notizia di Gesù sa riconoscere la violenza che porta in sé e si lascia guarire dalla misericordia di Dio».
Chesterton, in Ortodossia, scriveva: «Certi teologi mettono in discussione il peccato originale, la sola parte della teologia che possa effettivamente essere dimostrata… I più grandi santi come i più grandi scettici hanno sempre preso come punto di partenza dei loro ragionamenti la realtà del male». Dal male, naturalmente, cerchiamo di difenderci. Lo facciamo a volte in modo goffo, magari cambiando nome a qualche azione che in precedenza ci avrebbe fatto inorridire. Altre volte depenalizzando un reato, rendendolo più accettabile. Ingenui accorgimenti che non risolvono il problema. Medicina palliativa che non porta a guarigione. E il male è ancora là, sotto i nostri occhi, dentro di noi. Tutti ne avvertiamo i morsi e le lusinghe.
A Gela una mamma ha avvelenato le sue bambine. Inconcepibile. Ti chiedi come sia possibile. Eppure è accaduto. Siamo abituati a sentire dell’uccisione di un nemico, di un colpevole, di una persona cattiva. La nostra mente è incapace però di pensare al male fatto a chi si vuole bene. Ecco che, ancora una volta, tocchiamo con mano la nostra incapacità di indagare a fondo il cuore dell’uomo. Anche i paraventi della follia, della gelosia, della povertà non sempre riescono a giustificare; chi commette il male il più delle volte è una persona normale, capace di intendere e volere.
La realtà è là, dura come una pietra, gelida come il marmo. Brutta come la peste. Davanti a questi eventi incomprensibili e dolorosi anche la parola alza bandiera bianca. Puoi descrivere la scena del delitto, indagare la personalità dell’ assassino, raccontare i drammi che viveva, altro non puoi fare. Con il male occorre fare i conti. E sono conti da fare con estrema umiltà e altrettanta verità. Ammettiamolo: tutti siamo ammaliati dalle sirene del male, anche se non in forma così eclatante. Certo, perché il male per essere accolto sa camuffarsi e confondersi con il bene.
Chi al male si abbandona deve credere che in qualche modo mette fine ai problemi che lo affliggono. Forse è proprio questa la conseguenza del peccato originale. Abbiamo, perciò, bisogno continuamente di avere una mente lucidissima e un cuore puro. Non è facile. Per farlo bisogna farsi custodi di se stessi e dei fratelli, avere chiara la strada per la quale si vuole camminare. Chi crede in Dio sa di avere un Padre nei cieli che si prende cura di lui. Sa di essere amato, desiderato; che la sua vita è sempre unica, originale, irripetibile. Sa che c’è più gioia nel dare che nell’avere, che una carezza fatta a un bambino, una mano tesa a un vicino, una pane donato a un povero danno la forza di non arrendersi.
Chi crede in Dio sa di essere fragile e prezioso. Che il male è un seme che cresce e silenziosamente, subdolamente si annida nel cuore dell’ uomo. Sa che quelle radici maledette debbono essere estirpate subito, immediatamente. Al male non si dà nessuna confidenza. Col male non si diventa amici. Non si dialoga con il male, non lo si fa entrare in casa. Lo si caccia via appena inizia a fare capolino. Sempre, anche quando sembra che possa ritornare utile. Anche quando bastona il nemico o colpisce lontano. Anche quando le grida di disperazione non arrivano ai tuoi orecchi. Sempre. Anche quando qualcuno deciderà di fartela pagare o la cultura della morte afferma che non è più male l’azione obbrobriosa che una volta era considerata tale. Anche quando l’ombrello di una legge fatta a misura dei nostri egoismi pretenderà di mettere la parola fine a un male che continua a farci male. Se davvero inorridiamo davanti al male fermiamoci e imbocchiamo la strada del bene. Un bene che faccia bene a tutti.