Hanno seminato terrore, sofferenza,
morte. Hanno rallentato la crescita civile,
economica e culturale del Paese. Hanno
spento la speranza nei cuori di tanti giovani, ma ancora non si rassegnano a
uscire di scena. E per rimanere a galla fanno di tutto, pur
rischiando il ridicolo. Ma i tempi, ormai, sono
cambiati, non sono più quelli di una volta, anche se loro, i mafiosi, possono
contare ancora su un numero imprecisato di amici e spalleggiatori. La gente non
è più disposta a subire, a tacere, a
farsi
tormentare. La gente, finalmente,
lo ha
capito:
loro non sono i più forti, ma
i più deboli. E proprio il ricorso alle intimidazioni,
ai ricatti, alle armi
stanno
a dimostrare
la loro grande debolezza. Vero è che, nel
nostro Paese,
la corruzione in generale ha
raggiunto vette da capogiro. Vero è che il mafioso classico si va rigenerando. Ma
se a Corleone ancora si sente il bisogno di far fare un inchino al simulacro di
san Giovanni, alla signora Ninetta Bagarella,
un motivo deve esserci. Perché quell’inchino?
Per dire: siamo ancora forti? Comandiamo
ancora noi? Il popolo ancora sta dalla nostra parte? Anche la chiesa locale ci
teme? Ma non è della signora Riina che vogliamo parlare. Ci basti aver assistito
con gli occhi stralunati all’ intervista
rilasciata da suo figlio, qualche mese fa. Con la faccia da bravo ragazzo, costui
ebbe il coraggio di presentarsi
davanti alle telecamere per tentare di convincere
gli italiani che la sua era una famiglia normale. E che suo padre era un padre come
tutti gli altri. Capace di coccole e carezze,
di attenzioni e preoccupazioni. Se poi
il babbo, per assicurare la sopravvivenza dei
figlioli,
abbia ferocemente massacrato
e fatto massacrare, al rampollo la cosa non
interessa. Dopo il figlio, le telecamere riprendono la sua mamma maestrina,
devota di san Giovanni Battista.
A
quanto sembra, la signora non conosce
il
motivo per il quale i cristiani, dopo due millenni,
ancora rendono
omaggio alla sua santità. Ma succede. Succede,
cioè, che pur festeggiando un eroe, un martire, un grande uomo, di fatto ci si allontani
dal loro insegnamento. E così a Corleone
si ripete quell’insopportabile
gesto
blasfemo,
intriso di un significato che preoccupa ed inquieta. Il simulacro si ferma. La sosta
è breve, ma basta a lanciare un appello, un avvertimento, un segnale. Ma chi è
che ferma la processione? Il capo della confraternita. E questi è un lontano
parente dei Riina. Tutto calcolato, dunque? La magistratura ci dirà come sono
andate le cose. Corleone, però,
non è un
paese qualsiasi. Corleone è la patria, il feudo, la fortezza
di Totò Riina e
Leoluca Bagarella. E prima di loro di Luciano
Liggio e Michele Navarra. A Corleone le persone perbene hanno sofferto troppo.
Corleone ha bisogno di un riscatto, di gesti simbolici che dicano
addio al passato.
Corleone deve farsi conoscere nel mondo per le
cose belle che ivi si vanno realizzando. Corleone non può correre, nemmeno
lontanamente, il rischio di un ritorno al passato. Perciò quel gesto non doveva
avvenire. Assolutamente. E non deve accadere
più che possa ripetersi. In nessuna parte d’Italia. Per questo
occorre avere le idee chiare e il coraggio per
realizzarle. Occorre
fare scelte precise,
non importa
se impopolari o meno. Il
male deve essere prevenuto. Scaltri come serpenti e semplici come colombe.
Troppo e per troppo tempo siamo arrivati in ritardo. Quando
il male aveva già fatto tanto male.
Ma, soprattutto, occorre fare le cose insieme.
Tutti.
A cominciare dal popolo. E poi la
chiesa con il parroco e le varie realtà parrocchiali. Le confraternite, le
forze dell’ ordine e le amministrazioni locali. Tutto deve essere previsto,
messo in conto, fin nei minimi dettagli. Anche l’ eventuale, incivile, disobbedienza
di qualche ingenuo o infiltrato.
Niente
deve essere lasciato al caso. I percorsi dovranno essere stabiliti prima, con
cura e d’ accordo con i responsabili
diocesani. Niente, in nessun modo,
deve prestarsi ad equivoci.
Occorre avere la parola limpida, chiara,
precisa, tagliente,
proprio come quella di san Giovanni Battista.
E, come lui, essere pronti anche a pagare un prezzo se la codardia e la
cattiveria di qualcuno lo riterrà opportuno. Una cosa è certa: non deve
accadere mai più che il tesoro immenso della pietà popolare venga
strumentalizzato e vilipeso.