Il caso di Palermo. Anche i morti hanno i loro diritti, così come i loro cari
A Palermo il consiglio comunale da quasi un anno non riesce ad approvare il nuovo piano delle opere pubbliche, all'interno del quale c'è una parte che riguarda l'adeguamento dei cimiteri. Risultato: mille bare aspettano di essere sepolte.
Anche i morti hanno i loro diritti. Diritti che ai vivi conviene rispettare. È vero, i morti non parlano, non si lamentano, non si difendono, lasciano fare. Si fidano e si affidano. Ai loro cari, alla società civile, ai governanti. Il loro silenzio però ha tanto da insegnarci. Mettiamoci in ascolto della loro muta parola. Diamo loro, innanzitutto, una degna sepoltura. Permettiamo a chi gli volle bene di poter deporre sulla loro fossa un fiore e, se credenti, recitare una preghiera.
La morte porta con sé il più grande dei misteri nel quale l’umanità da sempre è immersa. Mistero che è indispensabile all’uomo di ogni tempo i più dell’aria che respira. Mistero che s’intreccia col dolore per la scomparsa della persona amata. Il dialogo tra i vivi e i morti è importante e consolante. I vivi chiedono, i morti rispondono. I vivi singhiozzano, i morti consolano. I vivi hanno il cuore spezzato, i morti la luce dell’eternità. Per elaborare il lutto ci vuole tempo. Un tempo che inizia con l’inumazione della salma.
Quando quel giorno viene rimandato, per i congiunti del defunto è un tormento che continua. « Seppellire i morti » è stato per i nostri antenati un dovere cui non avrebbero potuto e voluto assolutamente sottrarsi. I nostri nonni, poveri e analfabeti, facevano economia su tutto pur di avere una tomba al camposanto. Assicurare degna e veloce sepoltura ai morti deve avere la precedenza su tutte le altre criticità.
Le salme non possono in nessun modo essere accatastate per giorni e giorni. Potrebbe accadere solo in tempi di guerra o calamità naturali. Per i morti vanno pensate soluzioni ordinarie e straordinarie per tempo. Lo dobbiamo alla loro e alla nostra dignità. No, questa riflessione non vuole essere un rimprovero per nessuno. I problemi ci sono, lo sappiamo, ma dobbiamo risolverli quanto prima.
A Palermo devono darsi da fare in fretta per non aggiungere dolore a dolore, sconcerto a sconcerto. Se è deprimente per tutti leggere di bare che scoppiano, non oso immaginare quanto lo sia per chi a quei defunti ha voluto bene e ancora si sente legato. Perché “forte come la morte è l’amore”. Lasciare per settimane le bare in una sorta di deposito per gli attrezzi è come ritardare il riposo del defunto e la serenità di parenti e amici. Intorno ai morti, in tante regioni italiane, si è purtroppo sviluppato un commercio indegno. Bisogna fare più attenzione al momento del passaggio alla vita eterna.
Sempre mi commuove il rito funebre della nostra Chiesa cattolica. La bara, ai piedi dell’altare, ricoperta di fiori. I vivi pregano per il defunto; il defunto costringe i vivi a riflettere sulla brevità della vita. Il Vangelo ricorda agli astanti che Dio è padre che ama, consola, attende. Il sacerdote incensa il feretro come fa con il Crocifisso. Si canta l’alleluja. Si invitano i santi e gli angeli ad accogliere la sua anima e presentarla al trono dell’Altissimo.
Don Oreste Benzi: «Un giorno vi diranno che don Oreste è morto, non dovete crederci, è una menzogna».
Non permettiamo che i corpi dei nostri defunti – e dei nostri un giorno – vengano considerati alla stregua di un intralcio da cui liberarci. Se dovesse accadere sarebbe un brutto passo indietro. Tutti abbiamo bisogno di ricordare le persone che ci hanno amato e da cui abbiamo ricevuto o dato la vita. Credo che sia bene anche condurre sulle loro tombe i nostri bambini, perché imparino che vita e morte s’ intrecciano, si rincorrono, si abbracciano. Perché della morte non abbiano paura ma stimolo ad apprezzare la vita.
Non solo dunque per importanti e improcrastinabili motivi igienico sanitari bisogna, quanto prima, provvedere alle salme insepolte di Palermo; ma per non svilire la dignità di chi ci ha preceduto. E per permettere ai loro familiari e amici di asciugare le lacrime, pregare e riprendere, lentamente, il cammino della vita.