Guerra e pace: Pechino entra in gioco. Passo politico del gigante
La Cina chiama ufficialmente Russia e Ucraina alla pace. Diversamente da alcune previsioni, il piano di pace in dodici punti non è stato annunciato da Xi Jinping, ma solo pubblicato sul sito del Ministero degli Esteri, forse perché la missione di Wang Yi in Europa occidentale e a Mosca non ha dato i risultati sperati. Ma si tratta comunque di un’iniziativa politica di peso, lanciata mentre proprio la politica internazionale sembra latitante.
Assicurando il suo appoggio, Pechino esorta tutti a sostenere la ripresa, più rapida possibile, di un dialogo diretto tra i due Paesi per raggiungere un cessate fuoco globale. Prima di discutere i contenuti, occorre interrogarsi sul significato politico – e per certi versi storico – di questo piano. È la prima volta, infatti, che la Cina esprime in modo così esplicito la propria posizione su questa guerra e, più in generale, che interviene ufficialmente su una questione da cui non è investita direttamente ma che riguarda il sistema delle relazioni internazionali nel suo complesso. È la prima volta, cioè, in cui mostra così esplicitamente di voler far pesare nella politica internazionale il suo status di grande potenza mondiale.
Nella lunga storia dell’Impero e anche dopo la Rivoluzione comunista del 1949 l’attenzione cinese è stata prevalentemente rivolta ai Paesi limitrofi, disinteressandosi di quelli lontani. A partire dalla fine della Rivoluzione culturale, il basso profilo in politica estera è stato considerato una condizione necessaria per modernizzarsi senza incappare in ostacoli esterni. In tempi più recenti, non intervenire nelle vicende altrui è apparso utile per evitare che qualcuno mettesse in discussione la sovranità cinese. Oggi, invece, Pechino abbandona l’atteggiamento di osservatore, seppure attento e preoccupato, per assumere una postura attiva.
Il primo punto – che è anche il più importante – ribadisce un tema caro ai cinesi: il rispetto della sovranità. Ha raccolto un consenso unanime, così come la preoccupazione per la crisi umanitaria, l’appello per la protezione di civili, donne, bambini e altre vittime del conflitto e per il rispetto dei diritti dei prigionieri di guerra. Lo stesso vale per le raccomandazioni di mantenere sicure le centrali nucleari, di ridurre i rischi strategici, di facilitare le esportazioni di grano, di impegnarsi per la ricostruzione postbellica. Hanno invece suscitato proteste gli echi della narrazione russa, gli accenni alla mentalità da guerra fredda – di cui la Cina accusa soprattutto gli americani – e la censura delle sanzioni unilaterali. Ma la critica di fondo riguarda soprattutto ciò che non c’è: in primo luogo, una condanna esplicita dell’aggressione russa.
A molti l’iniziativa cinese sembra insincera: è nota l’amicizia – non l’alleanza – che lega Mosca e Pechino. Ma, dopo un anno di guerra, è anche evidente che questo conflitto è in contrasto con gli interessi cinesi. In ogni caso, quella di Pechino è un’iniziativa politica cui vanno date risposte politiche. Quella ucraina è stata cautamente positiva: «Un buon segnale». Da parte americana e della Nato si è messo soprattutto in guardia la Cina dal dare armi alla Russia (cosa che, peraltro, finora non ha fatto e questo piano non fa pensare che lo stia per fare). Per l’Unione Europea, Borrell ha sottolineato che Pechino ha parlato solo con Mosca e non con Kiev. Sarà tuttavia necessario andare oltre queste reazioni parziali e come rattrappite.
L’iniziativa cinese è nata da un vuoto: l’assenza di altre iniziative politicamente “pesanti” per uscire dalla guerra. Nei giorni scorsi, i contrapposti discorsi di Biden a Varsavia e di Putin a Mosca hanno mostrato entrambi – sia pure in modi molto diversi – la difficoltà di oltrepassare il presente e di immaginare modi realistici – politici, militari o altro – per chiudere a breve un conflitto che ha costi molto alti per tutti e umanamente intollerabili per le vittime dirette. È possibile che la proposta cinese cada nel vuoto, ma è interesse dell’Occidente, e soprattutto della Ue, lasciare alla Cina il “monopolio” delle proposte di pace?
E se si giudica che l’iniziativa cinese sia troppo filorussa, non conviene cercare di condizionarla? Non si può trascurare che la scelta cinese di gettare il proprio peso politico nella guerra peserà sul futuro delle relazioni internazionali al di là dei suoi effetti immediati. I numeri del voto alle Nazioni unite su una mozione che Mosca ha giudicato antirussa mostrano che miliardi di persone sono rappresentate da governi che non approvano l’invasione russa, ma sono lontani dalle posizioni occidentali. Meglio averlo chiaro, senza presunzioni, con responsabile realismo.